«Ogni settimana, tra le venti e le cinquanta famiglie di profughi intraprendono il viaggio senza ritorno dal Kurdistan. Stanno perdendo la speranza e non riescono più a resistere alle durissime condizioni da sfollati. E c'è l'inverno. Se non ci sbrighiamo ad aiutarli, creando per loro situazioni minimamente degne, l'Iraq sarà vuoto di cristiani, yazidi, shabak, turcomanni e sunniti che non credono al genocidio».
Mario Marazziti, deputato di Democrazia solidale, presidente del Comitato diritti umani, è appena tornato da Erbil, dove è stato con una delegazione della commissione Esteri della Camera, guidata dal presidente, Fabrizio Cicchitto. Con lui, c'erano anche Maria Chiara Carrozza (Pd) e Maria Edera Spadoni (M5S).
«Il fattore tempo è determinante. O corriamo con lui per risolvere questa gravissima emergenza o faremo un piacere allo Stato islamico (Is)», spiega Marazziti. Proprio a tale necessità risponde il progetto delle Chiese cristiane curde per "dare un'identità" alle migliaia e migliaia di sfollati.
Onorevole Marazziti, lei ha avuto modo di vedere di persona i volontari al lavoro. In che cosa consiste l'iniziativa?
In una stanza dell'arcidiocesi di Erbil, qualche decina di volontari lavora tutto il giorno per registrare i profughi. Un mare di persone si è riversato in Kurdistan dopo gli attacchi dell'Is del 9 agosto. Gli sfollati sono ormai un quinto della popolazione. Nella fuga, molti nuclei familiari si sono spezzati: c'è chi è finito ospite di amici, chi in un centro di accoglienza, chi in una scuola, chi in un campo. Il Comitato di soccorso delle Chiese sta realizzando il primo e unico censimento dei profughi: a questi ultimi viene consegnato un documento di identità provvisorio, senza validità giuridica, ma indispensabile per localizzarli. Già 12mila famiglie cristiane sono state riunite con tale sistema. L'obiettivo è arrivare quanto prima a 20mila. Una volta individuati i nuclei si potrebbe procedere -come già proposto dalla Comunità di Sant'Egidio e dal Comitato, guidato dall'arcivescovo caldeo di Mosul, Emil Nona- a un programma di adozioni da parte delle famiglie italiane e europee per affittare case. E superare l'inverno, resistendo finché non sarà possibile tornare nei luoghi di origine.
E che contributo può dare l'Italia al Kurdistan?
Sarebbe necessario un grande piano europeo ed italiano per l'emergenza umanitaria a contrasto di "capitan inverno". Alle adozioni si dovrebbe abbinare un intervento specifico per le "ex schiave", cioè le donne, in prevalenza yazide, sfuggite a Is. Se ne contano circa duecento nei campi: il trauma che hanno subito è troppo forte e la comunità non sa come aiutarle. È indispensabile fornire loro un sostegno specifico perché possano riprendere a vivere. Poi, vi è la richiesta di un contributo militare...
Di che tipo di assistenza militare hanno necessità?
I peshmerga chiedono alla Coalizione addestramento e armi pesanti per fronteggiare il Califfato, che ha a disposizione anche gli armamenti sofisticati presi all'esercito iracheno. Vi è, inoltre, la necessità di fornire assistenza per sminare i territori riconquistati, dato che l'Is, quando non distrugge, piazza gli ordigni nell'intera superficie prima di lasciarla. All'aiuto si potrebbe accompagnare la richiesta ai peshmerga di liberare la Piana di Ninive prima di altri territori. E' una zona poco popolata e, dunque, più facile da riconquistare. E la sua perdita distruggerebbe il mito ora vincente, e attrattivo per molti, dello Stato islamico.
Lucia Capuzzi
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