Intervista a Marco Impagliazzo: «Da Assisi un segnale alle religioni: far fruttare l'energia di pace»

Il presidente della Comunità di Sant'Egidio Marco Impagliazzo: «Il dialogo è la via obbligata e serve meno autoreferenzialità»

Sete di pace, la tre giorni di Assisi organizzata dalla Comunità di Sant'Egidio ha inviato messaggi importanti e significativi in tutto il mondo. A tracciare un bilancio è Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio.
Partiamo dallo "spirito di Assisi", Impagliazzo, è stato attualizzato?
«Diciamo che occorre comprenderne l'attualità a 30 anni di distanza, nel tempo della globalizzazione, in un mondo cambiato: non più diviso tra Est e Ovest ma con problemi nuovi. Primo tra tutti il terrorismo e le guerre diffuse per motivi di commercio, armi o per questioni economiche».
Lo spirito di Assisi è stato di certo il punto di partenza. E il punto di arrivo?
«Uno dei punti di arrivo sta nella consapevolezza che il dialogo tra religioni e culture sia una via obbligata per costruire la pace, superando divisioni e chiusure e in particolare l'autoreferenzialità di alcuni modi di vivere la religione. Direi così: l'apertura della religione alle grandi questioni mondiali, ci si è trovati uniti sui temi che di più toccano la vita della gente, in particolare le disuguaglianze e la povertà».
È un modo diverso di vivere la religione?
«Un modo di vivere la religione meno autoreferenziale, che parte di più dalla realtà. Tutte le religioni devono molto al pensiero di Papa Francesco che ha aperto al tema della periferie e della povertà, ci ha aiutato a capire com'è il mondo... il Papa ha dato una scossa a tutti».
Impagliazzo, scendiamo nel particolare dei temi affrontati nella tre giorni.
«In primis il tema è quello che il Papa ha sollevato con grande forza: "Non c'è nessuna guerra santa, ma solo la pace è santa". L'altro grande tema è l'ambiente. Il Papa tra l'altro ha detto: "Siamo come alberi di vita che assorbono l'inquinamento". E anche la violenza inquina no? In questo c'è grande unità con il Patriarca Bartolomeo I. Quindi la questione dei rifugiati: mi ha colpito molto che il Papa e i capi religiosi abbiano pranzato al Sacro Convento con i rifugiati: è un modo per dire che loro fanno parte della nostra vita e meritano un'attenzione particolare».
E Assisi? A volte si ha la sensazione che il valore di questo simbolo sia compreso meglio a distanza che nel contesto locale.
«Gesù dice: nessuno è profeta in casa sua. Diciamo che Assisi ormai è un patrimonio universale: è un luogo ma non solo un luogo, è anche uno spirito. Si è visto e capito chiaramente in questi giorni. Assisi può dire tanto al mondo, si tratta di messaggi di cui il mondo ha bisogno. Diciamo pure che il messaggio di Assisi non invecchia».
Con quali sensazioni esce dalla visita di Papa Francesco ad Assisi?
«Usciamo da questi giorni con un senso di grande responsabilità. Le religioni sono più consapevoli del ruolo che possono e devono giocare. Dobbiamo fare forse una certa autocritica, un po' tutti, sul fatto che l'energia di pace che c'è in ogni religione, come aveva spiegato Giovanni Paolo II, non è stata messa a frutto al meglio. Oggi abbiamo questa coscienza: c'è un'enorme energia di Pace che va fatta fruttare, questo è un grande risultato di Assisi. Voglio anche aggiungere che l'Umbria ha reagito davvero bene a un evento di queste proporzioni, c'è stata sintonia tra Comunità di Sant'Egidio, diocesi, famiglie francescane, istituzioni, forze dell'ordine e i tantissimi volontari: un lavoro eccezionale nell'organizzazione. Tutto si è svolto con grande serenità e collaborazione». (.....)


[ Federico Fabrizi ]