Festa della Parola di Dio nella Prima Domenica di Avvento. L' omelia di Mons. José Tolentino Mendonça

Lc 21, 25-28.34-36

 

Santa Maria in Trastevere

Omelia della prima domenica di Avvento

1 dicembre 2018

José Tolentino Mendonça

Letture della liturgia

Care sorelle, cari fratelli,

quando penso a questo tempo liturgico dell’Avvento che stiamo cominciando, e al suo significato profondo, mi viene spesso in mente un libro del poeta brasiliano João Cabral de Melo Neto, un libro chiamato Morte e vita severina. È un libro di poesia, come lo sono tanti libri biblici. Ma questo libro contemporaneo che cosa racconta? Racconta la storia di Severino. Severino è l’Uomo, semplicemente l’essere umano, l’Adamo, uno dei tanti tra noi. Questo Severino è un uomo provato, perché la vita è implacabile, la vita è dura, la vita non retribuisce l’impatto, il sogno, l’investimento affettivo che in essa noi collochiamo. Per questo il nostro Severino si sente solo sulla terra - come accade anche a noi, spesso -, tradito, spogliato. E se ne va per il mondo con una domanda, in cerca di soluzioni che non trova.

Allora decide, drammaticamente, che la vita non ha senso, che se non trova risposte alle domande che porta dentro di sé, ebbene, forse è meglio mettere fine alla propria vita. Con questi pensieri si mette a camminare lungo un fiume finché, a un certo punto, non incontra un falegname di nome Giuseppe, e chiede al falegname se lui, vivendo là, in quel braccio di fiume, sa se il fiume è abbastanza profondo e pieno di melma perché una vita vi si possa perdere. Il falegname comprende la questione che Severino gli pone e si mette a persuaderlo di non mettere fine alla sua vita. Severino si gira verso Giuseppe e lo supplica: “Allora dammi una ragione, dammi una ragione che sia una, che mi dica che vale la pena vivere. Dammi una ragione perché io non commetta un simile gesto”.

Nel bel mezzo di quello scambio, la discussione viene di colpo interrotta. La interrompe un coro di vicini, di parenti e conoscenti del falegname, che viene ad annunciargli cantando che sua moglie ha appena dato alla luce un bimbo e che Giuseppe adesso è padre. Veniamo allora condotti sul luogo in cui il bambino è nato, e Giuseppe canta la gioia di quella vita nascente. E, rivolgendosi al disperato Severino, gli dice che è vero, che neppure lui ha una risposta da dargli; ma soggiunge: “Nessun uomo è capace di rispondere. È la vita che risponde”. E in che modo la vita risponde? La vita risponde manifestandosi, dando se stessa, aprendoci a quello scombinato spettacolo che è l’esistenza stessa, a quell’incredibile e nudo miracolo che è la vita in sé. È guardando, accogliendo e abbracciando questo miracolo che noi siamo guariti dalle nostre prove, dalle nostre tentazioni, dalla nostra imperfezione, da questo senso che ci accompagnerà fino alla fine: il senso dell’incompiuto, dell’inconcluso, dell’irrimediabile.

Che cos’è l’Avvento che cominciamo oggi? Penso che l’Avvento è, ogni anno, interrompere la discussione. Lui, tutti noi, siamo occupati da qualche confronto sulla nostra vita. Un confronto più o meno felice, più narcisistico o più altruistico, più così ho più cosà. Siamo immersi in una discussione e ci dibattiamo per trovare una soluzione e un filo di senso che non sempre è ovvio, che quasi mai è evidente e facile. Siamo alle prese con questo dibattito con noi stessi, con gli altri, con Dio. Facciamo domande senza risposta. E che cos’è l’Avvento? L’Avvento è un’interruzione. La discussione si interrompe. Ed è interrotta da un corteo che viene ad annunciarci una nascita, che viene ad aprirci gli occhi affinché guardiamo alla vita, alla vita nel suo miracolo, nella sua essenzialità, alla vita ”Vita”, la pura vita, la vita e basta. Perché Gesù nasce e quello che abbiamo davanti è pura vita. Lì non ci sono ornamenti nè decorazioni. Gesù nasce in una circostanza di totale spogliamento, senza nulla, in quella stalla di animali dove soltanto la vita conta. E Maria pone il figlio nella mangiatoia degli animali per mostrare che è di quella vita che ci dobbiamo nutrire.

Cari fratelli, che il tempo di Avvento sia un tempo per interrompere, davvero. Ossia per sospendere i nostri dubbi, sospendere le nostre amarezze, sospendere i nostri lunghi percorsi chiusi, sospendere la nostra investigazione su ciò che non ha risposta. Interrompere. Avvento è preparare il nostro cuore all’incontro con la vita, con la pura vita, con la vita che inizia, con la vita che è nuova, con questa vita incarnata che ci mostra nella nostra carne, nella nostra storia, Dio stesso.

Il nostro conversare interiore è una cosa importante, ma viene un momento in cui deve essere interrotto. Perché non è nel discutere che sta la soluzione, o nel conversare senza fine dentro di noi. La soluzione è in quel Figlio che ci sarà dato. È in questa verità di Dio che ci viene incontro. Il profeta Geremia, che abbiamo ascoltato, ci prepara a questo incontro: “In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra. In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia”. Per questo, care sorelle fratelli, la parola di questa prima domenica di Avvento è: vegliate. Vegliate e pregate. “Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di comparire davanti al Figlio dell’uomo”. Sentiamoci protagonisti di questa storia. Noi non siamo spettatori della salvezza: siamo artigiani, creatori, artefici, coprotagonisti del parto di Dio. La salvezza si scrive con le nostre vite, con i nostri nomi, con le opportunità che ognuno di noi incontra, e sa quali sono.

Noi siamo qui, care sorelle e fratelli, attorno all’Eucaristia. L’Eucaristia è un modo sacramentale di dire proprio questo: “La vita è dono”. Noi serviamo da alimento agli altri, siamo il pane che gli altri mangiano, siamo il vino della festa che altri bevono, siamo la parola che tiene salda la vita del mondo e siamo come un fragile filo di luce nella notte oscura. Noi siamo tutto questo, ed è quando la nostra vita si fa pane spezzato, distribuito e condiviso, che la nostra vita diviene espressione della vita di Gesù.