40.900 persone morte, dal 1990 a oggi, nel mare Mediterraneo o nelle altre rotte, via terra, dell’immigrazione verso l’Europa.
Un conteggio drammatico, che si è ulteriormente aggravato nei primi mesi del 2020, quando, nonostante la situazione di emergenza causata dal Covid-19, 528 - per lo più donne e bambini - hanno perso la vita, soprattutto dalla Libia.
Si tratta di un bilancio troppo pesante: non una statistica, ma una tragedia dell’umanità. Occorre farne memoria, alla vigilia della Giornata Mondiale del Rifugiato, pensando soprattutto alle migliaia di persone che si trovano nei centri di detenzione in Libia - per i quali è più che mai urgente aprire i canali dei corridoi e dell'evacuazione umanitaria - o nei campi profughi di Lesbo, dove alle condizioni disumane si è aggiunto il pericolo della pandemia.
Oggi, alle 18,30 celebriamo una veglia a Santa Maria in Trastevere, presieduta, da mons. Stefano Russo, segretario generale della CEI, in cui vengono ricordati alcuni nomi di chi è scomparso e accese candele in loro memoria. Partecipano tanti immigrati di diversa origine. Tra loro anche familiari e amici di chi ha perso la vita in mare.
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