Al Salone del Libro di Torino la tragedia senza fine della Siria vista con gli occhi di chi l’ha vissuta. Il Video

Un racconto dei ragazzi ospiti della Comunità di Sant'Egidio

Jafar: "Mi ricordo delle bombe. Una volta siamo stati quasi un mese e mezzo, abbiamo mangiato solo riso. Una volta mia madre è uscita con mio fratello più piccolo per andare a prendere da mangiare, ed è caduta una bomba vicino a loro, e diverse schegge sono entrate negli occhi di mia madre, mentre mio fratello ha avuto un po' di problemi. Mi manca il mio paese, quando andavo a scuola, vedevo tutti i miei amici, parlavo la mia lingua, questa è la cosa che mi manca tanto".

Jafar e Majid, due giovani siriani, due racconti di una stessa guerra, le bombe, i colpi dei cecchini, gli amici che non ci sono più, la scuola crollata, la loro fuga verso orizzonti di pace.

Jafar: "Ci hanno aiutato per venire in Italia. Mio padre non è tornato più dalla guerra. Nel campo profughi stavo bene, nel senso, andavo a scuola, avevo i miei amici, i miei fratelli".

Jafar viveva a Damasco. Aveva 15 anni quando la guerra ha fatto irruzione nella sua vita da adolescente, strappandogli il papà, i compagni di giochi, ma non i sogni. Oggi vive a Roma, in Italia, ospite della Comunità di Sant'Egidio. È uno dei tanti Giovani per la Pace, un gruppo internazionale che si adopera in ogni angolo del mondo per portare un sorriso agli ultimi. Figlio della guerra insegna la pace, arrivato dalla periferia del mondo oggi dispensa amore nella periferia di Roma.

Jafar: "Poi ho scoperto i Giovani per la Pace, ho cominciato a frequentarli, andare dagli anziani. Le persone ci aiutano, ma anche noi dobbiamo aiutare".

Majid: "Basta la parola campo e ti fanno capire cosa è. Ti fanno uscire alle 8 del mattino fino alle 3 del pomeriggio. Devi rimanere fuori, sotto al sole. Il cibo non è buono, la mattina, il pomeriggio e la sera ti danno poche cose da mangiare. È sempre così, per prendere per esempio il the devi fare una lunga fila".

Majid ha 17 anni, è scappato dalla Siria nel 2015, il suo viaggio è una drammatica odissea, tra paesi in guerra e campi profughi. Un'odissea che però non lo ha riportato nella sua terra. Ora sogna un futuro da rapper, affida alla musica il suo messaggio di pace.

Majid: "Personalmente la mia arma è la penna, io scrivo per esempio e mando un messaggio. È un'arma fortissima, anche se non tutti l'accettano. Vedere i giovani con gli anziani, di colori diversi, tutti insieme, è una cosa bellissima".