Giuseppe, uomo dell'Avvento. L'omelia del card. Walter Kasper a Santa Maria in Trastevere

nella Quarta Domenica d'Avvento 2016, con la Comunità di Sant'Egidio - Mt 1, 18-24

Matteo 1, 18-24

Cari fratelli e sorelle!

il Vangelo di questa quarta e ultima domenica d'Avvento mi affascina ogni anno sempre di nuovo. Ci porta in un’epoca quasi duemila anni fa tra gente semplice, piccola, povera, tranquilla, di cui normalmente né gli ambienti potenti e nobili di allora, né la storia posteriore avrebbero tenuto memoria. Giuseppe e Maria, Elisabetta e Zaccaria, poi Simone e Hanna, di cui parla la Bibbia, facevano parte di questo gruppo dei “tranquilli del paese”, come si dice di solito. Erano i piccoli, ma erano gli onesti, i pii e i giusti nel senso Biblico, cioè coloro che in mezzo di una società guasta, dove la élite era corrotta e collaborava con il potere occupante, loro invece osservavano e vivevano secondo la legge, cioè secondo la parola e la volontà di Dio e preservavano la speranza contro ogni speranza, che Dio nel giorno da Lui deciso verrà per salvare il suo popolo. Era gente buona, gente d'Avvento, che senza fare rumore e rivoluzione aspettava tranquillamente e pazientemente un cambiamento radicale da parte di Dio, preservava la speranza.

Giuseppe faceva parte di questa gente. Lui era in una situazione personale particolarmente difficile a causa della sua sposa, che sorprendentemente trovò incinta. Per lui questa dovette essere una sorpresa che lo turbò. Rifletteva come reagire. Era un uomo giusto, cioè ubbidiente alla legge divina, che prevedeva per tale caso una punizione. Però era giusto anche nel senso che era onesto e, siccome era della discendenza di Davide, si comportava in modo veramente nobile. Voleva reagire onestamente e applicare la legge in modo gentile, in un modo mite nel contempo generoso e – come fa Dio – in un modo misericordioso. Non voleva pubblicamente accusare la sua sposa, non voleva abbandonarla alla vergogna pubblica, voleva ripudiarla in segreto.

In tale situazione difficilissima, fu rivelato a lui in un sogno – nella Bibbia spesso si usa questa immagine di una rivelazione - “Giuseppe, non temere!” Sta tranquillo. Dio ha fatto la sua promessa. Dio interviene attraverso il suo Spirito creatore, l'Emmanuel verrà. Emmanuel dice: “Dio è salvezza.” Così va detto: Dio, è salvezza, è più grande di ogni potere, anche più grande di ogni aspettativa. Perché è un Dio meraviglioso. Un Dio che non possa fare miracoli, non è veramente Dio. Così Dio, che è salvezza, dà un’uscita e Lui può dare un’uscita anche in una situazione umanamente senza uscita e senza speranza. Pertanto: Non temere. Adesso è venuto il tempo dell'Avvento.

E Giuseppe, che cosa fece con questa rivelazione sorprendente? Lui rispose come la sua sposa Maria, che anche essa era turbata quando l'angelo le rivelò che sarebbe diventata madre del salvatore. Essa dice: “Eccomi, sono la serva del Signore”. “Perché nulla è impossibile a Dio”. Però, mentre essa parlò, Giuseppe non disse una parola, e la Bibbia anche altrove non riporta nessuna parola uscita dalla sua bocca. La Bibbia riporta solo: “Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore”: Giuseppe senza dire una parola, era ubbidiente. E questa risposta era una ubbidienza coraggiosa, nobile e onesta. Lui prese la sua sposa, che diede alla luce un figlio e egli, come nel sogno gli era ordinato, lo chiamò Gesù. Gesù, cioè “Dio aiuta”.

Così Giuseppe era un vero figlio d'Abramo, che contro ogni speranza si affidò a Dio e alla sua provvidenza. Come Abramo, Giuseppe ebbe il coraggio di camminare verso un futuro umanamente oscuro e incerto, ma nella fede piena di speranza era un futuro che è un avvenire, un Avvento, in cui Dio ci venne incontro. Rimase dunque saldo e fedele alla sua decisione coraggiosa, quando il figlio, annunciato come salvatore del suo popolo, “avvenne” in condizioni miserabili e umilianti nello stalla di Betlemme, quando poi dovette rifugiarsi in Egitto e quando il dodicenne Gesù rimase solo nel tempio e lui lo dovette cercare per tre giorni pieni di preoccupazione. Poi Giuseppe sparisce e non ve ne è più cenno nella Bibbia. Rimaneva nell'Avvento e non esperimentò il compimento della Pasqua e di Pentecoste. Rimaneva nella pura e nuda speranza a Dio, a cui nulla è impossibile.

II.

Che cosa questo Vangelo di quarta domenica ci dice oggi? Perché i Papi Pio IX, Leone XIII, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, il cui nome è Giuseppe, e il Papa attuale, che celebra oggi il suo 80mo compleanno, presentano Giuseppe come Patrono della Chiesa? Come lui può essere una figura esemplare per noi, nella crisi mondiale che sperimentiamo oggi?

Anche noi ci troviamo in una situazione difficile, una situazione di crisi economica e politica e nel fondo in una crisi morale, una crisi di valori, in cui molte aspettative e speranze per un mondo migliore, una Europa unita, una pace nel mondo sulla base dei diritti umani si oscurano e sembrano fallire. Aleppo è la nuova Stalingrad, la nuova Pearl Harbour per tutti noi che credevamo aver imparato dopo il disastro e la catastrofe della seconda guerra mondiale. Contro ogni ragione il mondo è caduto di nuovo in una orgia di violenza, da cui, dopo il fallimento totale della comunità internazionale e delle sue istituzioni, nessuno sa come uscire. Il Papa parla di una atrofia e paralisi delle nostre istituzioni.

Per molti è rimasta solo la paura. Però la paura sempre è una consigliera cattiva. Ci seduce a costruire muri e recinti, produrre nuove armi e far fiorire il traffico delle armi, la paura crea sfiducia e nutre la xenofobia e l'odio degli uni verso gli altri. Con la paura si può manipolare la gente. America first! Germany first, Italy first e – alla fine dei conti – me first, io prima e dopo di me il diluvio! Così si lascia tirarsi nel vortice della indifferenza, voltare le spalle alla miseria degli altri. Unico pensiero: si salvi chi può salvarsi, pertanto lasciarsi tirare nella palude della corruzione, che come una ulcera carcinomatosa con le sue metastasi distrugge tutto il corpo sociale.

Il messaggio del Vangelo ci dice un'altra cosa. Non ci dà una ricetta economica e politica. Questo no! Il Vangelo è una promessa, che ci dice: “Non temere!” Non avere paura! Questo “non avere paura!” è un messaggio fondamentale del Vangelo, che come un ritornello ricorre spesso nell'Antico e nel Nuovo Testamento. La promessa di Dio e la fede scacciano la paura. Perché ci dicono che c'è una mano tesa dall'alto che vi tiene vi tira fuori. Non viviamo e camminiamo verso un futuro semioscuro, che fa paura, viviamo nel mezzo dell'Avvento. Il futuro è un avvenire, dove Dio ci viene incontro.

Dunque come Giuseppe rimane sensibile per le promesse di Dio e le sue meraviglie. Ascoltare la parola di Dio invece delle parole, delle dicerie e chiacchiere, degli slogan comuni. Non cadere nell'indifferenza e pesantezza, non essere senza slancio. Non perdersi d'animo e e non lasciarsi prendere dalla disperazione. Invece, rimanere onesti e leali, non lasciarsi contagiare dalla decadenza e dalla corruzione, essere giusto nel senso Biblico, cioè restare fedele alla parola di Dio e in conseguenza essere compassionevole, mite e misericordioso con quelli che sono nei guai, essere pronto a dare loro una mano e aiutarli quando si può.

Nessuno può pretendere di essere il Messia, che può salvare il mondo. Nessuno ha una ricetta semplice e chiunque pretende di averla sarà un falso profeta. Però ogni singolo e piccolo atto di carità e di misericordia può essere una scintilla di speranza per coloro che sono senza speranza, e molte scintille insieme possono accendere un fuoco che porta un po' di calore nella freddezza dell'indifferenza globalizzata. Ogni atto così può dare un po' di luce, come l'albero di Natale nella fredda notte invernale. Siamo dunque noi stessi - per così dire - un albero di Natale, come Giuseppe lo è stato. Non temere, rimanere giusti e onesti e non lasciare mai cadere la speranza. Invece come Giuseppe essere uomini di Avvento e testimoni di speranza. Amen