I martiri sognano un’umanità riconciliata e una pace possibile tra gli uomini. Omelia del card. Kevin Joseph Farrell

L’annuncio profetico delle persecuzioni dei discepoli di Gesù nel brano di Matteo che abbiamo ascoltato contiene delle forti assonanze con la condizione di molti cristiani oggi nel mondo. Basti pensare alle violenze che devono affrontare i cristiani d’Egitto, Siria, Libia, Iraq, Sudan, Nigeria, India, Laos, Cambogia etc, spesso costretti alla clandestinità, vittime di odio religioso e di limitazioni di ogni genere nell’esercizio del loro diritto di culto. Le cose non vanno meglio in altri paesi – tra questi molti paesi del primo mondo – dove, nonostante la libertà religiosa sia formalmente sancita, i cristiani devono fare i conti con una forma sottile di persecuzione. Per quanto non sia sanguinosa, non è meno cruenta e devastante. Si traveste da cultura, da progresso ma uccide non il corpo ma lo spirito, addormenta le coscienze, nega il diritto all’obbiezione di coscienza, il diritto di professare pubblicamente la propria fede, di dare ai propri figli un’educazione in linea con la loro fede. Dietro questa insidiosa persecuzione che Papa Francesco non esita a definire “la grande apostasia”, c’è la mano del “principe di questo mondo”. Questi scenari che il Signore aveva prospettato ai suoi discepoli richiedono dai credenti un’alta testimonianza di fede: il martirio.

Il martire è colui che coscientemente affronta gravissime sofferenze fisiche e morali in nome di una fede o per un alto ideale. Ma nell’immaginario collettivo, quando si parla specificatamente di martirio cristiano, la mente corre subito all’esperienza delle prime comunità cristiane. Infatti, il Nuovo Testamento e le cronache dell’Impero romano ci narrano le vicende dei vari Stefano, Paolo, Pietro… tutti cristiani che hanno pagato il tributo del sangue per l’annuncio del Vangelo. In realtà, la storia della Chiesa è attraversata da storie di innumerevoli uomini e donne che hanno versato il loro sangue per la fede. In questi ultimi decenni specialmente, si è registrata una recrudescenza delle persecuzioni a danno dei cristiani che ne hanno fatto il gruppo religioso più perseguitato di sempre. Questo fece dire a San Giovanni Paolo II nella Tertio Millenio Adveniente, riferendosi al XX secolo: “Nel nostro secolo sono tornati i martiri, spesso sconosciuti, quasi militi ignoti della grande causa di Dio” (n. 37). “Oggi la Chiesa è divenuta nuovamente Chiesa dei martiri”, un’affermazione più volte ribadita anche da Papa Francesco. Infatti, il Santo Padre ha ricordato in più occasioni che ci sono più martiri cristiani oggi che nei primi secoli. Il grande libro del martirologio cristiano rimane un’opera incompiuta in perpetuo aggiornamento. Non v’è alcun bisogno di tornare indietro con la memoria per toccare con mano la realtà delle persecuzioni. È storia contemporanea, è il nostro presente. Come dice Papa Francesco: “La persecuzione è il pane quotidiano della Chiesa”. Non c’è continente, nazione, popolo, forma di vocazione, confessione religiosa che non siano stati presi di mira dai persecutori: non solo cattolici (vescovi, preti, laici, religiosi), ma anche anglicani, ortodossi, evangelici, musulmani. Parlano tante lingue, hanno passaporti diversi… Perciò, si parla sempre più di un ecumenismo del sangue e di una globalizzazione del martirio.

Cosa però contraddistingue il martire cristiano tra questa folla di perseguitati?

Per rispondere adeguatamente a questa domanda, occorre ritornare al testo di Matteo. Il brano ci mostra come la testimonianza richiesta ai discepoli sia sempre mossa, non da un desiderio di eroismo, ma dalla carità compassionevole verso un’umanità sofferente e bisognosa di guarigione. Sant’Agostino lo traduce bene spiegando che “è la carità che fa il martire”. La persecuzione, quando si presenta, è accolta con fede, ma non è mai ricercata come un valore in sé perché il martire cristiano non è un kamikaze. Il martirio cristiano non è sinonimo di “dolorismo” o di esaltazione della sofferenza perché il cristianesimo non è la religione di quelli a cui piace soffrire, o come disse Nietzsche, la religione di coloro che, “siccome non sanno godere, fanno della sofferenza una virtù”. Anzi! I discepoli dovranno essere prudenti come i serpenti. E per dirla con Papa Francesco, dovranno usare “un sano realismo” che tiene conto, con circospezione, della concretezza storica ma senza furbizia. I discepoli dovranno guardarsi dagli uomini e fuggire di fronte alla persecuzione senza opporre una resistenza violenta all’aggressione subita (vv. 17.23). Ma in questa lotta impari, l’intelligenza e il coraggio non bastano. Se lo Spirito Paraclito non sostiene i discepoli e non li rende saldi, essi rimangono schiacciati dal male. Perciò, dovranno conservare la semplicità e la purezza della  colomba (Ct 5,2; 6,9) perché mediante lo Spirito Santo, possa operare in loro la grazia di Dio che li rende “trasparenza di Cristo”. 

I martiri sono dei visionari. Sognano un’umanità riconciliata e una pace possibile tra gli uomini. Credono fermamente con il Salmista ch’è “bello e dolce che i fratelli vivano insieme!” (Sal 133,1). Nel nostro mondo in cui si fa a gara a chi innalza muri sempre più alti ai confini, in cui si odono i frastuoni incessanti della guerra, in cui frange di estremisti di ogni fazione rinnegano la ricchezza della diversità, questi “tizzoni di speranza” annunciano l’alba di un nuovo mondo in cui – come dice il profeta Isaia nella sua visione escatologica – “Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà” (Is 11,6). Completando nella loro carne quello che manca alle sofferenze di Cristo, i martiri affrettano l’avvento definitivo del Regno messianico del principe della pace che guida l’umanità verso la sua piena unità.

La comunità di Sant’Egidio, da sempre impegnata a costruire ponti tra i popoli, a promuovere la concordia tra i fratelli in guerra, il dialogo interreligioso e l’ecumenismo, confidando “nella forza debole della preghiera e nel potere di cambiamento della non violenza”, ha nei martiri, mirabili esempi a cui ispirarsi. Fate bene a tenere i fari accesi su di loro e a ricordare a tutti noi il compito fondamentale di custodire la memoria del loro sacrificio in modo che le loro sofferenze non vengano inghiottite dal disinteresse, dall’amnesia, dall’indifferenza e dall’assuefazione al male che tanto caratterizzano il mondo di oggi. Occorre tenere desta l’attenzione con la preghiera e adoperarsi tutti a favore di un mondo riconciliato in Cristo, che morendo in croce, vince il male. Facciamo nostre le intenzioni di preghiera del Santo Padre del mese di marzo scorso, in cui raccomandava vivamente di pregare “per i cristiani perseguitati, perché sperimentino il sostegno di tutta la Chiesa nella preghiera e attraverso l’aiuto materiale”.

Siamo ormai nella Settimana Santa, il punto più alto della vita liturgica della Chiesa e di ogni credente. Per celebrare degnamente la Pasqua del nostro Signore, preghiamo insieme affinché – come dice Papa Francesco – “il Signore, oggi, ci faccia sentire nel Corpo della Chiesa l’amore per i nostri martiri e anche la nostra vocazione martirale”. Il Santo Padre aggiunge: “la Chiesa è la comunità dei credenti, la comunità dei confessori, di quelli che confessano che Gesù è Cristo: è la comunità dei martiri”. Infatti, non c’è cristianesimo senza persecuzione e la croce non è espugnabile dall’esperienza cristiana. E le occasioni per vivere il martirio quotidiano sono a portata di mano, nella ferialità della nostra vita. “Il martirio quotidiano non comporta la morte ma anch’esso è un «perdere la vita» per Cristo, compiendo il proprio dovere con amore, secondo la logica di Gesù, la logica del dono, del sacrificio”. Come Gesù chiede ai suoi discepoli di “cominciare dalle pecore smarrite della Casa d’Israele” (Mt 10,6), lo stesso per noi è essenziale ripartire pazientemente dalle nostre famiglie (sia quella naturale che quella di fede), con un lavoro “artigianale” di ricucitura degli strappi, perché diventino un autentico laboratorio di martirio in cui ogni membro impara la grammatica del sacrificio liberamento accolto, si allena a donarsi e a ricevere l’altro nella sua irriducibile diversità come dono, a “morire un po’ a sé stesso” per far crescere la comunione.
In questi giorni santi, preghiamo dunque in modo speciale per coloro che sono perseguitati a motivo della loro fede e chiediamo al Signore di saper rispondere, in quanto cristiani, alla vocazione martirale che abbiamo ricevuto, nella disponibilità a perdere ogni giorno la nostra vita per Cristo.