A "Strade di Pace" una riflessione sulla malattia. L’uomo tocca il proprio limite, ma supera barriere e separazioni

Rappresentanti cattolici, ortodossi ed evangelici, insieme ad un musulmano sciita e un rabbino, si confrontano su “Preghiera, malattia, guarigione”, durante l’incontro “Strade di pace” promosso a Münster dalla Comunità di Sant'Egidio. Notando come nella sofferenza l’uomo impara a conoscere Dio, ilfilosofo evangelico Thomas Schirrmacher ha osservato: “Non si può dire a chi soffre di continuare a soffrire, ma occorre impegnarsi per risolvere le cause strutturali di questo dolore”. Schirrmacher ha poi ricordato le guarigioni miracolose, a cui l’Occidente guarda con scetticismo ma che ci interpellano ad una comprensione globale ed olistica dell’uomo.

Per il vescovo serbo Andrej, nella preghiera gli uomini manifestano la diversità di ciascuna tradizione, ma al tempo stesso la ricchezza di ciò che li accomuna. “I salmi accompagnano tutta la nostra preghiera”, e nei salmi impariamo a supplicare Dio, poveri e fragili quali noi siamo.

Il vescovo luterano Karl Hinrich Manzke ha descritto la preghiera come “un linguaggio, che a lungo si ripete senza capire” ma che giunge col tempo a formarci anche nelle nostre relazioni con gli altri. Il vescovo ha ricordato l’esperienza della sua città nel nord della Germania, dove ogni anno si ha una giornata di preghiera in cui luterani, cattolici, musulmani ed ebrei si invitano l’un l’altro: “la preghiera è una grande opportunità per imparare a vivere nella pace e nel pluralismo”.

Per don Marco Gnavi, parroco di Santa Maria in Trastevere, “la malattia ci ricorda ciò che vorremmo dimenticare: nasciamo poveri, moriamo poveri, laddove essere poveri significa non bastare a se stessi. Ed in questa dipendenza possiamo sperimentare il soccorso di Dio ma non solo: anche la fiducia di Dio. Lui crede che in ogni uomo, donna, piccolo o anziano”. Per Gnavi non ha significato la distinzione tra amore materiale e preghiera per la guarigione: “Gesù si è identificato con il medico che viene per i malati e non per i sani, per i peccatori e non per i giusti, ricordandoci che tutto l'uomo ha bisogno di guarigione, corpo e cuore”.

Il rettore dell’Università iraniana delle religioni, Abulhasan Navvab, ha affermato: “Tutte le religioni insegnano amore infinito. Per Buddha, tutte le virtù erano prive di valore rispetto alla virtù dell'amore e nella Bibbia leggiamo che tutti i beni e i doni non valgono nulla se non abbiamo amore. Sorprendentemente, tale amore deve essere rivolto anche ai nemici, come dice il Corano: Respingi il male con un bene più grande e vedrai che colui che ti era nemico, diverrà amico”. E nella preghiera noi impariamo a pregare non solo per noi stessi ma anche per i nostri compagni, quindi “a non percepire la felicità della società come separata dalla propria”.

A queste parole ha fatto eco il rabbino Avraham Itzhak Rabdil: “Tutto ciò che chiediamo nell’Amidah, la nostra preghiera principale, è espresso al plurale. Quindi, quando preghiamo per la salute, per il benessere, per la prosperità e per la pace, non preghiamo solo per noi stessi, ma anche per tutti gli altri. Io non sono responsabile soltanto per me, ma persino nel momento della massima intimità con l’Onnipotente devo includere anche altri esseri umani nella mia preghiera”. Per Rabdil, orientarci verso Dio ci insegna a fare spazio agli altri nella nostra vita, perché Dio vuole dimorare in un mondo di pace “ma sta a noi far sì che il mondo diventi tale.

Per approfondire:

PANEL 6: Preghiera, malattia, guarigione