Nel duomo di Torino la festa per il 50mo anniversario di Sant'Egidio

con la presenza di tanti amici. L'omelia di mons. Cesare Nosiglia - Mc 8, 27-35

L'austero duomo di Torino, la grande cattedrale cinquecentesca che accoglie la Sindone, si è riempito domenica 16 settembre della gioia e dei canti di alcune centinaia di persone riunite per celebrare il 50mo anniversario della Comunità di Sant'Egidio.

Poveri e amici dei poveri: donne rom, anziane signore torinesi, ragazzi con i mille accenti di una città cresciuta grazie all'immigrazione da tutte le regioni italiane, religiose, amici, rappresentanti delle istituzioni cittadine, come la sindaca, Chiara Appendino, e di altre confessioni religiose.

Ognuno ha percorso un pezzo di strada con Sant'Egidio, incontrandosi su scenari dolorosi, come ha ricordato il giornalista Domenico Quirico, realizzando spesso una fruttuosa sinergia, come ha detto il moderatore della Tavola Valdese, il pastore Eugenio Bernardini, ricordando come la collaborazione nel nome del Vangelo e dell'amore per i poveri abbia dato luogo a delle "questa idea un po’ folle dei corridoi umanitari,proposta da cristiani alle autorità politiche, in un luogo di guerra come il Medio Oriente dove, ancora oggi purtroppo, non si guarda in faccia a nessuno e si uccide chiunque, non solo nemici e avversari. E siamo riusciti miracolosamente a costruire questa piccola esperienza, questa piccola realtà, piccola numericamente ma simbolicamente molto significativa, che è stata replicata in Francia, in Belgio, e che ha creato tra le chiese cristiane d’Europa una nuova fraternità".

La liturgia è stata celebrata da mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo della città, che con Sant'Egidio ha una lunga amicizia, iniziata nella periferia di Roma e proseguita negli anni del suo ministero a Torino. Le parole della sua omelia, che riportiamo integralmente, ripercorrono il filo di questa storia e ne rappresentano il valore. 

Omelia di mons. Nosiglia

Sono molto lieto di celebrare questa Santa Messa per ricordare il 50° anniversario della fondazione della Comunità di Sant’Egidio, certamente una delle realtà ecclesiali e civili più feconde fra tutte quelle, spirituali, umane e sociali del nostro tempo, dal Concilio ad oggi.

Il suo carisma è ormai conosciuto e apprezzato in tutta la Chiesa e nel mondo, per le tante iniziative rivolte a promuovere la pace tra i popoli, la comunione e l’unità tra le chiese cristiane, il dialogo e gli incontri interreligiosi. Ma quello che va apprezzato più di tutto è il quotidiano impegno dei membri della Comunità in favore degli ultimi, degli scartati della nostra società: dai minori alle donne, dai senza dimora ai rom, come ho potuto sperimentare a Roma e qui a Torino in particolare.

Sant'Egidio ha preso sul serio, ed applica concretamente , quanto ci ha detto oggi San Giacomo nella seconda lettura della Messa: “La fede senza le opere è morta” .

Siamo salvati per mezzo della fede in Gesù ma questa deve esprimersi con scelte di amore, come ci ha insegnato il Signore, che univa la voce del Vangelo ai semi di liberazione dal male, dal peccato, da ogni forma di malattia e povertà, in favore delle persone che incontrava.

Le opere testimoniano che siamo credenti, altrimenti è ovvio che ciò che facciamo può far pensare che la fede sia astratta, lontana dalla realtà. E le opere sono quelle che Gesù indica in modo molto concreto per essere salvati e riconosciuti da lui come servi fedeli che lo amano: “Avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere, ero nudo e mi hai vestito, forestiero e mi hai accolto, malato e in carcere e sei venuto a trovarmi”.

In questo modo Gesù unisce strettamente le opere alla fede in lui, e la fede in lui all'amore verso i fratelli e le sorelle più poveri e bisognosi di un aiuto solidale e fraterno. Dice infatti, in un altro brano del Vangelo: “Tutto quello che avete fatto al più piccolo di questi miei fratelli lo avete fatto a me”. Ero io quando tu vestivi chi era nudo, accoglievi lo straniero e così via.

In questo modo, Gesù ci dà una chiave di lettura molto concreta della vita cristiana e del Vangelo. Seguire Cristo sulla via della Croce, come ci invita a  fare Gesù nel Vangelo di oggi, significa perdere la propria vita, perderla per Lui donandola a chi non ha vita, donando amore a chi non ha amore, giustizia a chi non ha giustizia, perdono a chi ci ha offeso e ci ha fatto del male, fisico o morale che sia.

Ho conosciuto la Comunità di Sant'Egidio in diverse circostanze del mio ministero di Vescovo a Roma, poi a Vicenza e qui a Torino. Ricordo con emozione l'incontro con la Comunità nel quartiere romano di Corviale, un palazzone, pensate, con 75 ingressi e circa 5000 persone residenti, un unico palazzo con mille problemi esistenziali di ogni genere.

In alcuni spazi del quarto piano c'era la sede della Comunità, dove si svolgeva ogni giorno il doposcuola con la presenza di ragazzi italiani, stranieri, rom: un modo concreto per favorire l'integrazione e l'incontro tra ragazzi di etnie molto diverse. Venivano accolte famiglie di carcerati o di tossicodipendenti e anche diversi disabili psichici o fisici. I locali erano poi utilizzati in orari  specifici da un nutrito gruppo di anziani, anziani soli, malati, sofferenti, privi di ogni diritto e costretti in pratica a vivere sempre chiusi dentro quel palazzo, che era come una prigione all’aperto. I giovani e adulti della Comunità di Sant'Egidio avevano deciso di fare la “pastorale delle periferie”, come la chiamavano, una pastorale che partisse dalle periferie della città di Roma, una pastorale adatta alle periferie. Quindi portavano in tutti i luoghi periferici un raggio di sole e di speranza, di amore e di vita, affrontando molte necessità e problemi, donando a questi ragazzi, agli anziani, alle famiglie non solo dei servizi, dei sussidi, ma amicizia, incontro, condivisione, solidarietà fatta di gesti e di esperienze, condivisione di preghiera e reciproca fraternità. La Comunità ha promosso in tutte le periferie umane e disagiate opere come queste.

Un'altra esperienza forte che ho fatto in quel periodo è la celebrazione della Santa Cresima in Santa  Maria in Trastevere, la grande basilica dove la Comunità di Sant'Egidio è cresciuta e sta crescendo ancora oggi. Era un momento molto bello, veramente commovente, perché io celebravo la Cresima per un gruppo di svantaggiati, di disabili psichici o fisici, giovani e adulti, una volta all’anno. Li incontravo prima della celebrazione, però, per l'esame. Facevano l'esame: un fatto molto importante, sentito, atteso, preparato bene da queste persone, che dava loro il senso di conquistarsi il premio della Cresima. Se non erano promossi…ma erano tutti promossi!

Un momento bellissimo e commovente, che svolgevano attraverso grandi cartelloni sui quali erano raccontati episodi della vita di Gesù, che essi dovevano commentare su richiesta del Vescovo. Il loro entusiasmo nel parlare di Gesù e del Vangelo, per mostrare che conoscevano quei testi del Vangelo, era così sincero e convinto che mi sorprendeva, perché sentivo vibrare nel loro cuore un sentimento così profondo d'amore non riscontrabile in modo tanto intenso tra tanti ragazzi o adulti che ricevevano e ricevono anche oggi la Cresima. Questo era frutto, senza dubbio, di un cammino e di una familiarità con Gesù e la sua Parola, ma anche con gli altri membri della Comunità, in un’esperienza di comunione e di amicizia che sosteneva la catechesi e il gruppo per l’incontro con il Vangelo: gruppo che aveva preso proprio la denominazione di “Amici”.  “Non vi chiamo più servi ma amici” disse un giorno Gesù ai suoi discepoli.

Impostare la catechesi su Gesù e sulla Chiesa, sulla preghiera come sulla vita morale, a partire dall' amicizia, significa rendere vera l’esperienza di amore, di incontro, che permette di incidere profondamente nell'anima e nella vita delle persone. In pratica Sant'Egidio considerava - come considera anche qui e sempre ,nei luoghi dove agisce  - ogni persona, anche quella che sembra meno capace o disponibile, un soggetto che non solo deve ricevere ma può dare e dare molto. A chi lo accoglie con amicizia può vedere nella stessa persona Gesù amico.

Ho voluto ricordare due dei tanti momenti che ho vissuto con la Comunità di Sant'Egidio a Roma, ma potrei ora ricordare i tanti momenti che sto vivendo da anni qui a Torino.

Penso al pranzo di Natale con tanti fratelli e sorelle, che sono anche qui presenti, senza dimora, attivato all’inizio nell’episcopio e poi spostato nella Chiesa dei Santi Martiri. Un momento non solo di pasto ma di fraternità e di amicizia tra persone che si conoscono tutto l'anno, perché la Comunità li segue tutto l'anno, non è solo un momento in cui ci trova insieme per un pranzo. I fratelli senza dimora si conoscono, si incontrano. La comunità li segue, li sostiene durante tutto l'anno. In quel senso, si sente veramente palpitare l'amicizia nel cuore, la gioia di trovarsi insieme. Un'intensa esperienza di fraternità e di gioia insieme, indimenticabile!

Penso poi all'incontro che i membri della Comunità, come sapete, hanno stabilmente con chi vive e dorme per la strada, che ha bisogno magari una coperta o di una bevanda calda ma ha bisogno soprattutto di amore, di sentirsi cercato e accolto, di un sorriso, di uno sguardo benevolo e amico.

Penso infine alla preghiera annuale per i Martiri cristiani nel mondo, e a quella per gli immigrati morti tragicamente nel Mediterraneo A questo proposito ricordo l'iniziativa dei corridoi umanitari per i rifugiati, promossi  dalla Comunità di Sant’Egidio insieme alla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e alla Tavola Valdese. Sono molti altri gli interventi che voi tutti conoscete bene. Sapete quanto la presenza dei volontari della Comunità, la loro fede, le loro opere, la loro preghiera, la loro testimonianza siano fecondi di amicizia e di vita nuova per tante persone che li frequentano e usufruiscono della loro vicinanza e del loro amore Essi fanno questo senza ricercare pubblicità. Questo è un altro aspetto importante della Comunità di Sant'Egidio: non ricerca la pubblicità, non si mette le medaglie e non va in giro a mostrarle, al contrario di come si usa fare oggi, ma pone in pratica il detto di Gesù: “Non sappia la tua mano destra ciò che fa la sinistra”. Più facciamo il bene nascosto agli occhi della gente, più esso rende ragione della nostra speranza e produce un frutto grandissimo per chi lo fa, per chi lo riceve, ma anche per tutti.

Concludo allora con un sincero e sentito grazie alla Comunità di Sant'Egidio che, con la sua presenza e azione nella nostra città, ci fa comprendere il segreto vero dell'amore e della fede in Cristo che nascono dalla sua Parola, accolta nella vita dei più poveri fra i poveri. Essi ci arricchiscono di quella povertà evangelica che è la vera ricchezza, il tesoro più prezioso da cercare e per cui vale la pena spendere il proprio tempo, le proprie sostanze, e il proprio più convinto impegno. Spendere, come ci ha detto Gesù nel Vangelo, persino la propria vita per suo amore.