Omelia del cardinale Angelo de De Donatis
 al 51° Anniversario della Comunità di Sant’Egidio

Lc 5, 1-11

Omelia del cardinale Angelo de De Donatis
 al 51° Anniversario della Comunità di Sant’Egidio

Eminenze, eccellenze, autorità, sorelle e fratelli carissimi,
celebriamo oggi un anniversario di gioia rendendo grazie al Signore insieme. San Giovanni Paolo II diceva che ogni anniversario che noi celebriamo serve soprattutto per due cose: una per chiedere perdono al Signore, la seconda per rendergli grazie. E noi le vogliamo vivere tutte e due questa sera.

Chiedere perdono al Signore, rendere grazie al Signore che 51 anni fa chiamò un gruppo di giovani romani a gettare le reti, così come ha fatto sul lago di Tiberiade con Simone e i suoi amici. Anche allora, come avvenne a Trastevere alcuni anni fa, Simone rispose: Ho faticato tanto e non ho avuto alcun risultato, ma sulla tua parola desidero gettare le reti.
Perché? Per quale motivo Simone ha accettato quell’invito a dire poco insolito, per quali ragioni quei giovani romani hanno deciso di seguire il Vangelo e di non rimanere chiusi nei ragionamenti ideologici o nella rabbia corrosiva che percorreva il finire degli anni ’60?
Desidero dirlo così, con molta semplicità da quello che ho potuto constatare personalmente. L’esperienza della Comunità di Sant’Egidio è nata dalla preghiera, è cresciuta con la condivisione dell’ascolto della Parola e tuttora si nutre della lode del Signore e della sua misericordia oltre le iniziative molteplici che coprono immense distese sulla terra, anche in regioni lontanissime.

Quello che mi ha colpito sempre quando son venuto a pregare con voi la sera è stato proprio vedere i fratelli e le sorelle della Comunità, insieme ai loro amici, riunirsi per cantare la Parola del Signore, per invocare il dono della pace.
Questa sera l’apostolo Paolo ci annuncia il nucleo fondamentale della fede: la morte e la resurrezione del Signore Gesù. Proprio nell’annuncio originario e puro della fede, nel kerigma, sta la forza della tensione missionaria e solidale che spinse un piccolo gruppo di giovani a scegliere di non fermarsi nella comodità, nell’indifferenza e di aprire gli occhi e poi il cuore proprio per guardare la sofferenza del mondo.
Si, se abbiamo incontrato chi ha deciso di dare la vita per amore di ognuno di noi e ci ha ridonato la vita risorgendo dai morti, possiamo davvero inondare la terra di speranza.
Pochi giorni fa il nostro vescovo, papa Francesco, in visita negli Emirati Arabi Uniti, in uno storico viaggio, ha gettato il seme della speranza confidando che il cuore d’ogni credente ha il diritto e il dovere di impegnarsi per una società pacifica e fraterna. Ci ha detto: Il punto di partenza è riconoscere che Dio è all’origine dell’unica famiglia umana, egli, che è il creatore di tutto e di tutti, vuole che viviamo da fratelli e sorelle, abitando la casa comune del creato che egli ci ha donato. Si fonda qui, alle radici della nostra comune umanità, la fratellanza quale vocazione contenuta nel disegno creatore di Dio. Essa ci dice che tutti abbiamo uguale dignità e che nessuno può essere padrone o schiavo degli altri.
Per amore di questa fratellanza siamo chiamati a lasciare tutto, comprese le reti della nostra quotidianità, seguendo la parola del Vangelo che vuole nel nostro cuore il desiderio della pace, il desiderio dell’incontro, del dialogo, dell’autentica fraternità. Come possiamo dirci cristiani se veniamo meno al gioioso servizio di sentirci fratelli di tutti, di farci tutto a tutti, come dice Paolo, di chinarci sull’uomo ferito.
E quest’uomo ferito lo incontriamo nelle periferie della nostra città. Sentiamo tutti la necessità di continuare a ricucire il tessuto strappato e lacerato della società, soprattutto in periferia dove la Comunità di Sant’Egidio lavora per creare reti di amicizia, di solidarietà che aiutano l’uomo e la donna di oggi, spaesati e quindi li aiutano a ritrovare una famiglia.

La forza del servizio rivolta a tutti, ma soprattutto ai più poveri, ai dimenticati da tutti, sta nell’amicizia, nel proporre percorsi di fraternità sentendosi piccoli e servi. Così predichiamo e così potete credere, direbbe Paolo, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura.
Quell’uomo ferito lo incontriamo nelle periferie del mondo, dove non arrivano comunicazioni di benessere e di solidarietà ma sopravvivono logiche di sfruttamento, di sopraffazione. E proprio in quei paesi che sono oppressi da miseria e da guerre civili la Comunità di Sant’Egidio si offre come ponte di dialogo, di solidarietà per assicurare la dignità ad ogni creatura umana.
Con doni discreti. Ad ogni persona viene offerta la lampada della speranza, per ritrovare fiducia nella vita donata dal Signore. E così si sviluppa la fraternità e ritorna quel sorriso che a moltissimi dei vostri amici è mancato per tanto tempo.
Ma l’uomo ferito lo incontriamo anche nelle acque del Mediterraneo, ultimo approdo dei disperati in fuga da guerra, violenze di ogni tipo, schiavitù, oppressione, miseria crescente. E penso in modo particolare a quello che è avvenuto, ai corridoi umanitari, esperienza condivisa con altre comunità cristiane che si adoperano per accompagnare la sofferenza.

E non si tratta solamente di accorgersi di loro, non si tratta solamente di soccorrerli in maniera doverosa, si tratta soprattutto, oltre questo naturalmente, di credere come si possano aprire strade e ponti che uniscono. Come si possono creare incontri, come si possa creare amicizia, come sia possibile mettere da parte quello che divide e far emergere quello che unisce.
Questo è il servizio che si sta realizzando, questo è l’impegno per il dialogo e la pace che trova la sua bella e forte espressione negli incontri di dialogo tra i credenti che vengono organizzati periodicamente dalla Comunità. Per tutto questo noi rendiamo grazie a Dio questa sera. Ecco il nostro rendimento di grazie, per questo siamo qui.
La nostra Chiesa locale che vive a Roma si è interrogata in questo anno facendo memoria di un passato di passione apostolica, di attenzione agli ultimi, di annuncio ritrovato della parola del Vangelo con slancio creativo, così come ci ha chiesto il Concilio Vaticano II. Unitamente alle comunità parrocchiali e al grande lavoro anche della Caritas diocesana, la Comunità di Sant’Egidio si è fatta portavoce delle istanze degli ultimi della città e si è messa in ascolto dei nuovi bisogni accogliendo la sfida di un mondo in grande trasformazione.
Mi sembra che la gioia, e l’ho constatato personalmente, che si respira nelle vostre case, negli incontri che organizzate, sia la risposta più forte alla proposta di gettare le reti che vi rivolse un giorno Gesù. Vedere, come ho visto, giovani e anziani che cantano e che sorridono insieme tra un racconto e l’altro, tra una preghiera e l’altra, è entusiasmante e trasmette fiducia.

Desidero condividere con questa assemblea eucaristica la sensazione che incontrare uomini e donne, famiglie intere provenienti dall’Africa come dall’Asia, che hanno recuperato fiducia nella vita e nell’umanità e sorridono ringraziando i fratelli della Comunità. Questo è il futuro più consolante dell’impegno profuso con gratuità, con responsabilità a Roma come negli altri angoli sperduti della terra.
Ha detto il papa in questo viaggio nella penisola arabica: Non c’è alternativa, o costruiremo insieme l’avvenire o non ci sarà futuro. Le religioni in particolare non possono rinunciare al compito urgente di costruire ponti fra i popoli e le culture.

E allora, carissimi, nel rendere grazie al Signore voglio consegnarvi un ulteriore impegno. Me lo permettete? In questa amata Chiesa di Roma siate un segno di unità, continuate ad essere un segno di unità. Un segno di comunione con tutti coloro che come voi e insieme a voi sentono la passione per il Vangelo e operano per annunciare che il Signore Gesù è risorto e offre a ciascun di noi la speranza della vita. Non perdete occasione per lavorare in comunione con tutta la diocesi, come già fate. Accogliete ogni opportunità per essere strumenti di pace, di fraternità anche qui, nella nostra Roma in trasformazione, nella città di Pietro che è assetata di verità e di solidarietà. Cantate con passione la vostra gioia e fate risplendere la bandiera dell’amicizia e della pace. Maria, regina della pace, madre di Dio, salus populi romani, conduca con materna protezione il vostro cammino e illumini il vostro servizio. Così sia.