Busta e francobollo: il filo diretto di Sant'Egidio con i detenuti al tempo del virus

un articolo dell'Osservatore Romano

«Ero in carcere e siete venuti a trovarmi». I versetti del Vangelo di Matteo per i volontari che ogni giorno sono alle prese con le consegne di beni di conforto, domandine, richieste di ogni tipo, colloqui e con tutto ciò che allevia la sofferenza del detenuto sono stati la strada maestra anche al tempo del coronavirus. Ma come, in mezzo ad una pandemia inattesa che ha creato nuove sofferenze a chi vive recluso? Offrendo inchiostro, fogli e francobolli a persone che, temporaneamente private della propria libertà hanno avuto l’occasione di mantenere un filo diretto con l’esterno. Una iniziativa che è stata interpretata come uno dei pochi mezzi per non troncare del tutto i legami con il mondo che sta fuori, con i propri familiari e non perdere la dignità e il rapporto con se stessi.

Maurizio Aletti della Comunità di Sant’Egidio che opera nella casa circondariale di Genova-Marassi ci racconta che «In questo momento i detenuti sono soggetti a restrizioni ancora più pesanti perché non potendo ricevere nulla e, soprattutto, non avendo la possibilità di incontrare i propri familiari, sentono il peso maggiore del loro essere emarginati. Ecco, noi siamo lì a ricordargli che non sono esclusi» spiega Aletti. Già, ma in che modo? (Continua a leggere su L'Osservatore Romano)