Parola ai giovani all'Incontro di preghiera per la pace: "Il futuro che vogliamo"

Il "futuro che vogliamo" è qui e non è solo il titolo del forum. Centinaia di giovani riempiono la Nuvola: sono la speranza di un futuro migliore e vengono da licei e università di tutta Italia per ascoltare le parole dei cinque giovani leader religiosi, chiamati come loro a costruire la "terra futura". È un compito difficile, perché anche durante la crisi mondiale causata dalla pandemia di Covid-19, spesso non abbiamo sentito la coesione che poteva rappresentare una sfida globale, ma abbiamo anzi assistito a “divisioni e conflitti” - sottolinea il Metropolita di Korsun e dell'Europa Occidentale, Antonij. Questo succede perché, spiega poco dopo, la paura ci prende "quando l'amore impoverisce". Il futuro che vogliamo, allora, illustra Lucas Pedrò, del Missionary Movement of Francis (Argentina), deve basarsi sul "protagonismo degli umili" e su tre parole chiave: "tetto", ovvero "un alloggio dignitoso per tutti", “terra”, intesa come equa divisione dei beni e rispetto per l’ambiente, e “lavoro”. Sono “le tre T” di cui ha parlato anche il Papa: techo, tierra y trabajo. Soffrire il dolore dei tanti diseredati, vuol dire quindi essere “umani” - ricorda il rabbino capo di Vienna, Jaron Engelmayer. Siamo umani, apparteniamo alla stessa famiglia, ma come insegna un antico racconto citato dall’eminente studioso ebraico, dobbiamo anche fare tesoro delle diversità che vi sono tra di noi e arricchircene. “C’è un buon motivo per cui c’è un arcobaleno colorato sul simbolo di Sant’Egidio” – sottolinea poi Engelmayer. In effetti, “una persona è sostenuta dalle altre persone e continua migliorare proprio perché vive in mezzo alle altre persone” e “le persone esistono in quanto persone, poiché si sostengono a vicenda” – fa presente Keishu Kataoka, segretario generale del Centro Missionario Internazionale in Europa della Scuola Buddista Soto, che ha mostrato come l’ideogramma di “persona”, in giapponese, rappresenti, appunto, un uomo che sostiene un altro uomo. Sostenere il sogno di futuro di tanti bambini, di giovani, è poi anche il fine che si pone Ali Wedhat, mediatore culturale e membro del Movement peoples of peace, oltre ad essere un rifugiato afghano. Il suo sogno, infatti, è quello di “costruire insieme un mondo senza ingiustizie, senza sofferenze”, lui che ne ha viste tante e che vuole perciò “raccontare, aiutare chi è più giovane di me a partecipare, e a lavorare per costruire insieme un mondo di pace”.

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