Le vittime dimenticate della pandemia

Le vittime dimenticate della pandemia

"Per essere apolidi bisogna avere un villaggio, della memoria di questo villaggio sono custodi i nostri nonni, che abbiamo dimenticato". Il tributo altissimo pagato dagli anziani in questa pandemia rende drammaticamente attuale la riflessione del grande antropologo Ernesto De Martino.
«Una moderna strage degli innocenti si è consumata in questi mesi» ha denunciato Marco Impagliazzo presidente della Comunità di Sant'Egidio, che ha lanciato l'appello "Senza anziani non c'è futuro" (www.santegidio.org) cui hanno aderito autorevoli esponenti delle istituzioni e della cultura di ogni angolo del Pianeta. Il manifesto vuole indurre i governi di tutto il mondo a combattere quella che papa Francesco ha definito la "cultura dello scarto".
La questione è grave, si agita lo spettro di una sanità selettiva che nei momenti più bui della pandemia è stata già sollecitata a scegliere tra chi "vale la pena curare" e chi invece deve essere lasciato al suo destino. Una logica aberrante, che non ha niente a che vedere con un Paese come l'Italia che nel solco della grande tradizione europea ha fatto propri i principi del welfare universale.
Secondo l'Istituto Superiore di Sanità in Italia ci sarebbero stati tra i 6mila e 7mila decessi nelle RSA, di cui il 40% circa per Covid-19. Negli USA, la nazione con il maggior numero di contagi, si calcolano circa 70 mila morti nella fascia di età più avanzata. Il trend negativo è confermato dall'Istat che rileva come l'85% dei decessi determinati dal corona virus si siano manifestati nella popolazione ultrasettantenne. Nel Nord Italia, in particolare, l'impatto è stato molto forte: gli Istituti per anziani si sono spesso trasformati in veri e propri reparti Covid, con una mortalità settanta volte più alta rispetto a chi viveva in casa.
Uno scenario così drammatico, oltre a suonare come una denuncia che sollecita la coscienza di tutti, impone nuovi modelli di cura e assistenza. Evitare che le strutture da luoghi di protezione si possano trasformare in aree di dolore e di morte è il vero imperativo categorico che bisognerà da ora in avanti osservare. «Soluzioni come il cohousing» si legge nel documento «andrebbero prese in considerazione per promuovere nuove forme dell'abitare, insieme a una puntuale e organizzata assistenza domiciliare, che deve contemplare anche il monitoraggio attivo di chi abita da solo».
Bisognerà mettere in campo un grande progetto in cui sono chiamati ad operare soggetti laici e religiosi dalle associazioni alle parrocchie che operano nei territori. La crisi può tradursi in un'opportunità per realizzare una svolta, a patto di impegnarsi a offrire un maggiore protezione per gli anziani, adottando strategie e strumenti innovativi, che avrebbero anche l'indubbio vantaggio di ridurre le spese sanitarie, conferendo un volto diverso alle nostre città.
Risulterà, inoltre, decisivo fare rete, sulla spinta di una dimensione della solidarietà che dovrà aprirsi anche al dialogo intergenerazionale. L'altra categoria particolarmente penalizzata dall'emergenza è stata, infatti, quella dei giovani, che oltre a subire l'interruzione parziale, ma pur sempre significativa, dei percorsi di istruzione, formazione e socializzazione, sembra destinata a perdere un lavoro spesso già precario. Creare le condizioni perché si sviluppi un confronto tra vecchi e giovani orientato a quella "rivolta morale" auspicata dai firmatari dell'appello, aprendo l'orizzonte della convivenza a valori di umanità e di rispetto delle categorie più fragili, può servire a cambiare la storia, sanando tante situazioni di indicibile sofferenza e di grande solitudine.


[ Massimiliano Cannata ]