Intervista a Mario Giro: «Tra Daesh e al Qaeda è una gara dell'odio»

Il viceministro
Giro: la guerra è andata troppo avanti

«Faremmo un tragico errore a non dare il nostro contributo all'Africa, specie sul fronte del terrorismo, facendoci prendere dalla paura. L'Africa è un nostro prezioso partner strategico, sotto diversi aspetti: per l'economia, per la cooperazione, per la cultura. Dobbiamo esserci, anche per la nostra sicurezza, visto che le nostre frontiere si sono spostate sempre più verso sud». Mario Giro, viceministro degli Esteri, è con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in Africa, ad Addis Abeba: è iniziata ieri la visita di Stato in Africa che proseguirà per tutta la settimana, facendo tappa anche in Camerun (è la prima volta per un capo dello Stato italiano). Proprio dall'Africa giungono le tragiche notizie della Costa D'Avorio, con l'attacco terroristico alla spiaggia di Grand-Bassam, che ha ricordato per modalità (la venuta dal mare) e obiettivo (i turisti inermi) quello in Tunisia. Nello Zimbabwe due italiani sono invece stati uccisi in un incidente ancora tutto da chiarire. Notizie che naturalmente procurano grande allarme.
Viceministro Giro, lei conosce bene l'Africa, dove ha svolto diverse missioni per la Comunità di Sant'Egidio. Come dobbiamo reagire al terrorismo che insanguina il continente a noi così vicino?
«Intanto mi lasci dire che la scelta di essere qui in Etiopia costituisce un segnale chiaro verso un Paese con cui abbiamo una lunga esperienza di cooperazione e che ha un ruolo fondamentale nel processo di pace in operazioni di peacekeeping in Somalia e Sudan. Sicuramente è uno dei Paesi barriera contro il terrorismo. Peraltro vive un momento di grande espansione economica, collocandosi al dodicesimo posto fra le economie mondiali in crescita, con un tasso di sviluppo del 10 per cento. Insomma incarna l'Africa che corre e a cui dobbiamo stare al fianco».
Come dobbiamo valutare i fatti della Costa d'Avorio?
«Purtroppo viviamo le conseguenze della guerra in Algeria, un dramma da 250mila morti, e di quella in Mali. I gruppi qaedisti stanno cercando di destabilizzare il Mali e colpire duramente la giovane democrazia del Burkina Faso. La Costa D'Avorio ha basi politicamente più solide.
»
Purtroppo il terrore ha devastato anche la Turchia.
«Ed è un terrore di segno diverso, perché qui è la mano dell'Isis a colpire. Proprio accostando gli attacchi ivoriani e quelli turchi, si può leggere in controluce la drammatica competizione dell'odio che contrappone Daesh e Al Qaeda».
Lei proprio a questi due volti della jihad ha dedicato parte del suo libro "Noi terroristi". Che cosa sta accadendo?
«Daesh sta rubando la scena. A partire da una propaganda che fa sempre più presa: un misto di spirito di avventura, pionierismo, romanticismo rivoluzionario e senso di giustizia che spesso anima i giovani. Andando oltre la totale segretezza utilizzata da Al-Qaeda, come una setta inaccessibile, l'Isis inonda il web, si fa pubblicità e ha creato un fenomeno di adesione del tutto nuovo, trappola per generazioni cresciute nella società dell'immagine. Nell'età dell'accesso, mentre Al-Qaeda resta irraggiungibile, Daesh si presenta come «open source». Il «califfato» utilizza il linguaggio del web e ritorce contro le nostre società buona parte dell'armamentario post-ideologico e nichilista di origine occidentale. Inoltre controlla un territorio. Da tempo i jihadisti cercavano di ottenere un proprio Paese, uno «Stato» islamico, che potesse incarnare la «vera terra della sharia». Nel corso degli ultimi decenni ci hanno provato in Sudan, Afghanistan, Yemen, nel Sahel».
Che rapporto mantenere con la Turchia?
«La Turchia intanto sconta il fatto che si è fatta andare troppo avanti la guerra siriana, lasciando quel territorio in consegna a una pluralità di attori nefasti. L'altro aspetto sono i rifugiati. Io credo che proprio nel rapporto l'Europa deve trovare una compattezza: il governo italiano ne è profondamente convinto e lavora per questo. Il fenomeno può essere affrontato solo avendo una forza comune».
Però il recente voto tedesco segnala che in rapporto alle tensioni dell'area mediterranea l'opinione pubblica manifesta una certa preoccupazione.
«Certo, è un segnale di paura il boom dei movimenti spinti dal populismo. Ma la politica della Cancelliera Merkel è ancora maggioritaria. E soprattutto credo che in questo momento sia compito delle classi dirigenti europee dare un segnale di equilibrio all'elettorato». 


[ Alberto Alfredo Tristano ]