Svuotiamo i viaggi della morte

I «corridoi umanitari» strumento efficace e giusto

Caro direttore, scrivo ad "Avvenire" perché condividiamo la consapevolezza che oltre la retorica dell'emergenza, la narrativa della paura e il cinismo della politica reale, c'è una soluzione concreta che può mettere fine alla tragedia dei migranti nel Mediterraneo: i corridoi umanitari.
Con Moas (Migrant Offshore Aid Station), l'organizzazione di ricerca e soccorso in mare fondata da me e mio marito Christopher nel 2014, siamo diventati testimoni in prima linea dello stillicidio che da decenni si consuma nel nostro mare. Quando abbiamo deciso di rispondere all'appello di papa Francesco che da Lampedusa, nel luglio del 2013, ci esortava ad agire contro la «globalizzazione dell'indifferenza», non abbiamo mai pensato che con Moas avremmo messo fine a un problema così complesso. Come tutte le organizzazioni umanitarie per l'emergenza, Moas opera per attenuare le conseguenze disastrose di un fenomeno difficile da gestire.
La realtà è che quella nel Mediterraneo ha smesso di essere da tempo un'emergenza. È un'ecatombe cui ci siamo tristemente assuefatti. Da due anni stiamo facendo del nostro meglio per evitare il peggio, salvando la vita a centinaia di migliaia di esseri umani che rischiano la morte per sfuggire da guerre, persecuzioni e poverta estrema. Sono oltre 15.000 le vite salvate finora; 15.000 volti e storie di bambini, donne e uomini e che hanno guardato la morte in faccia, che sono caduti vittime del traffico di esseri umani, subendo violenze atroci e la sospensione dei diritti umani più basilari. È arrivato il momento delle risposte coraggiose.
La migrazione globale è la sfida del nostro secolo, è un fenomeno difficile e controverso che può essere risolto soltanto andando oltre le ideologie politiche di qualsiasi colore. In questo momento, gli equipaggi delle due navi di Moas - Phoenix e Responder - con a bordo i team di medici e infermieri di Emergency e Croce Rossa stanno lavorando senza sosta per salvare migranti e rifugiati al largo della Libia. Sono oltre 2.000 le persone tratte in salvo nell'arco di pochi giorni. Nonostante il lavoro ammirevole di tutte le Ong, della Guardia costiera e della Marina Italiana, centinaia di persone continueranno a morire se non agiamo subito. La strage senza fine nel Mediterraneo ha una sola soluzione: dare a persone disperate la possibilità di raggiungere la salvezza in Europa e nel mondo in maniera regolare e sicura.
Sono già circa 300 le persone arrivate in Italia tramite visti e viaggi "umanitari", grazie al progetto promosso dalla Comunità di Sant'Egidio insieme a Tavola valdese e Federazione delle Chiese evangeliche italiane e in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, e il Ministero dell'Interno. L'Italia è stato il Paese ad affrontare la crisi migratoria in prima linea e ora è il primo Paese a lanciare un modello di accoglienza e di integrazione pionieristico. I "corridoi umanitari" sono un'iniziativa visionaria e coraggiosa che, ci auguriamo, gli altri Paesi europei prendano subito ad esempio. Sottrarre i più vulnerabili agli ingranaggi spietati dei trafficanti di esseri umani, evitare i viaggi della morte, rispettare gli obblighi internazionali sul diritto di asilo, gestire i flussi in maniera regolare in modo da garantire anche la sicurezza per i Paesi di destinazione. Questa è la risposta che ci auguriamo da parte della comunità internazionale: un gesto di umanità ma anche di buona gestione dei flussi migratori irregolari.
Più volte ho partecipato di persona alle missioni di salvataggio in mare. Toccare con mano la disperazione che costringe giovani uomini, donne e bambini a viaggiare in condizioni così terribili è un'esperienza che cambia la vita. In un momento storico delicato, marcato da nazionalismi di ritorno, ingiustizie, insicurezze e terrorismo, abbiamo il dovere di agire con coraggio. Aprire stabilmente "corridoi umanitari" sarebbe un segno di grande umanità e di maturità politica: l'unica risposta lungimirante a un fenomeno globale che non si fermerà nel breve termine.


[ Regina E. Liotta Catrambone ]