Sono bambini nati nella guerra non sanno che cosa sia la pace

Sono bambini nati nella guerra non sanno che cosa sia la pace

Marco Impagliazzo. Lo storico è presidente della Comunità di Sant'Egidio: «Abbiamo accolto piccoli che non hanno mai frequentato una scuola». «È necessario istituire corridoi umanitari in maniera più strutturale e massiccia»

Lo storico Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio, ci parla dei corridoi umanitari che finora hanno portato in salvo 2.500 persone: «Ci sono bambini siriani che non hanno mai conosciuto un giorno di pace: sono nati nella guerra, iniziata sette anni fa. Abbiamo accolto piccoli che non hanno mai frequentato una scuola».
Da dove si è partiti per organizzare i viaggi della speranza?

«Ci siamo posti il problema, come Comunità di Sant'Egidio, nell'ottobre 2015 dopo il naufragio al largo di Lampedusa, dove morirono oltre 350 migranti. Lavorando sul piano giuridico, abbiamo trovato lo strumento adatto nell'articolo 25 del decreto visti dell'Unione europea. La norma prevede che ogni Stato dell'Ue possa concedere visti per la protezione umanitaria, al di fuori dei visti del Trattato di Schengen, e quindi a territorialità limitata. Insieme con le Chiese evangeliche italiane, ci siamo rivolti ai ministeri dell'Interno e degli Esteri che hanno accettato la nostra ipotesi: mille visti, all'inizio, che hanno riguardato profughi siriani sistemati nei campi in Libano».
Con quali criteri scegliete i destinatari?
«Il criterio base è la vulnerabilità, quindi donne con bambini, persone anziane e malate. Ci appoggiamo ad alcune Ong che da anni operano su questo ver
sante, fra le quali la Comunità Papa Giovanni XXIII. Loro ci segnalano i soggetti appunto più vulnerabili: persone che vengono verificate e controllate prima della partenza e quando arrivano a destinazione. Viaggiano in modo legale e ciascuno di loro è sponsorizzato da parrocchie, associazioni, famiglie che si sono offerte di dare ospitalità e di integrarli. Accoglienza e integrazione vanno considerati insieme, come ha detto Papa Francesco. Tutto è a spese dei donatori e lo Stato non paga nulla. Abbiamo1.800 rifugiati in Italia e 700 in Francia. A questi vanno aggiunti i migranti del Corno d'Africa attraverso il corridoio umanitario che abbiamo organizzato con la Cei, i 22 profughi accolti dal Papa e affidati a noi, e due famiglie ospitate a San Marino. Ai primi di maggio firmeremo un accordo anche con Andorra».
Solo nel piccolo Libano ci sono due milioni di rifugiati.
«L'impegno di questo Paese, a differenza dell'Europa, è davvero ammirevole perché siamo dinanzi a numeri eccezionali, per quanto queste persone vivano in condizioni veramente di fortuna: più che campi profughi veri e propri, parlerei di un insieme di baracche, sparse un po' ovunque, dal confine con la Siria a Beirut e ad altre città. Fra i siriani c'è un po' di tutto, in prevalenza persone che hanno perso quel che avevano per la guerra: professionisti, piccoli imprenditori, commercianti, ambulanti, operai. Si tratta in gran parte di gente che aveva un lavoro, donne che hanno perso il marito in guerra. Chi ha potuto portar via i propri beni ha affittato una casa in Libano».
Nel frattempo l'escalation delle armi continua.
«Purtroppo è così: l'impiego delle armi è comunque un qualcosa che va contro la costruzione della pace. Siamo fermamente convinti, invece, della necessità del dialogo e della diplomazia. Bisogna far cessare le armi e mettersi attorno ad un tavolo. E' chiaro che gli attori sono molti, perché in realtà è un insieme di conflitti, e pertanto la situazione è complessa: questioni geopolitiche e di potere e, non ultimo, il conflitto interno al mondo musulmano fra sunniti e sciiti. C'è poi un altro ostacolo di cui non sempre avvertiamo l'importanza: l'opacità delle informazioni che non ci consente di capire, discernere, valutare. Non sappiamo bene cosa stia succedendo, le responsabilità dei singoli protagonisti e neppure conosciamo quel che avviene nelle carceri siriane, dove - dal racconto dei profughi - ci sono violazioni terribili dei diritti umani. Sappiamo, però, che c'è tantissima violenza, morte e distruzione: di questo dovremmo occuparci».

Nel frattempo l'Europa è diventata una meta legalmente inaccessibile.
«L'Europa ne esce molto male. Ha chiuso il suo cuore, in particolare i Paesi dell'Est che non hanno voluto accogliere quei gruppi di rifugiati che s'era deciso di 
ricollocare e che sono nei campi in Turchia. Continuiamo a dare tre miliardi di euro all'anno ad Ankara, perché non vengano in Europa. Una politica miope, dato che comunque le pressioni alle frontiere sono forti, la sofferenza è grande, la guerra in Siria non finisce e neppure la povertà e i conflitti nel Corno d'Africa. In Libia, fra l'altro, il quadro istituzionale e sul terreno rimane instabile e assai fragile, mentre gli sbarchi continuano e l'umanità in fuga dall'entroterra è costretta a vivere nei centri di raccolta in condizioni disumane. Anche qui la situazione non migliora e i piccoli campi profughi, una sorta di avamposti umanitari allestiti dalle Agenzie dell'Onu non sono nelle condizioni di invertire una tendenza negativa. Quel che la Comunità di Sant'Egidio fa è importante, ma è una goccia nel mare. Bisognerebbe istituire corridoi umanitari in maniera più strutturale e massiccia e riaprire le quote per i migranti economici ormai esaurite, tanto più che lo stop ai flussi legali alimenta il traffico di esseri umani. Ogni Paese ha bisogno di migranti e tutti abbiamo il dovere di proteggere le decine di migliaia di persone che hanno bisogno di essere tutelate. Servirebbe un'azione europea, la consapevolezza di una missione irrinunciabile. Abbiamo invece una politica di chiusura, che non serve né a noi né a loro».

Biografia
Stori
co di culture e religioni
LA VITA Marco Impagliazzo (Roma, 1962) è professore ordinario di Storia contemporanea presso l'Università per Stranieri di Perugia.
LE OPERE Nella sua attività di ricerca si interessa dell'area mediterranea, con particolare riferimento ai Paesi non europei e alle tematiche della coabitazione tra nazionalità, culture e religioni diverse. Si è occupato inoltre di tematiche storiche legate alla presenza di minoranze etniche o religiose in Italia. Attualmente è impegnato in una ricerca sui fenomeni migratori in epoca contemporanea e sulle questioni di cittadinanza e integrazione nelle società europee. È Presidente della Comunità di Sant'Egidio, Consultore del Pontificio Consiglio della Cultura.


[ Franco Cattaneo ]