I laici, nella linea più avanzata della Chiesa

I laici, nella linea più avanzata della Chiesa

Da cinquant’anni la Comunità di Sant’Egidio, fatta di laici impegnati, è al servizio del Vangelo e dei poveri
Ma oggi la missione dei laici segna il passo dopo le straordinarie aperture del concilio Vaticano II

«I laici si trovano nella linea più avanzata della vita della Chiesa. Abbiamo bisogno della loro testimonianza sulla verità del Vangelo e del loro esempio nell’esprimere la fede con la pratica della solidarietà». Così papa Francesco per le intenzioni di preghiera di maggio. I laici nel contesto ecclesiale. I laici e la loro missione. Temi su cui ci si confronta da prima del Concilio, che sono al cuore della sfida che la Chiesa intera si trova a vivere oggi, se vuol davvero essere “in uscita”, se vuole che “la gioia del Vangelo” si faccia vissuto di un popolo più largo. Si ritiene, in genere, che le straordinarie aperture del Concilio riguardo al laicato abbiano segnato il passo nei decenni successivi. In quegli anni si era assistito a un dibattito coinvolgente (si pensi agli anni della “teologia del laicato”, a teologi come Philips e Congar). Ma il quadro che oggi abbiamo davanti è diverso.

A giudizio di molti la Chiesa è ancora troppo clericale. Tanto più se ci allontaniamo dal Vecchio Continente, muovendoci verso le realtà che faranno e saranno il cattolicesimo del futuro: l’Africa, l’Asia, l’America Latina. Lo affermò con chiarezza due anni fa papa Francesco: «Ricordo la famosa frase: “È l’ora dei laici”, ma sembra che l’orologio si sia fermato». E aggiunse: «Non possiamo riflettere sul tema del laicato ignorando una delle deformazioni più grandi che l’America Latina deve affrontare, il clericalismo. [Esso] porta a una omologazione del laicato; trattandolo come “mandatario” limita le diverse iniziative e sforzi e, oserei dire, le audacie necessarie per poter portare la buona novella del Vangelo a tutti gli ambiti dell’attività sociale. Il clericalismo dimentica che la visibilità e la sacramentalità della Chiesa appartengono a tutto il popolo di Dio, e non solo a pochi eletti e illuminati». Sono parole che fanno eco alle acquisizioni del Vaticano II, soprattutto inLumen gentiumeApostolicam actuositatem.

Ma oggi recepire il Concilio significa passare da una “teologia del laicato” a una “teologia del popolo di Dio”. Ragionare sul laicato, non significa misurare la sua visibilità o magari il suo potere, bensì verificare se l’assunzione di responsabilità sollecitata dai documenti conciliari sia qualcosa che i pastori promuovono oppure ostacolano, che i fedeli laici vivono oppure sfuggono.

Papa Francesco, del resto, si muove lontano da categorie ecclesiologiche che rischiano di restare parole vuote – “slogan” dice lui –, per affrontare il tema su un altro piano: quello, molto concreto, del vissuto di ogni giorno. È una responsabilità che si è assunta, ormai da 50 anni, la Comunità di Sant’Egidio, fatta di laici impegnati gratuitamente nell’annuncio del Vangelo, nel servizio ai più poveri, nel dialogo e nella costruzione di una cultura di pace. Insieme a tutta la Chiesa per essere un popolo e non un’élite para-clericale. La Comunità si inserisce, infatti, in una stagione aggregativa che ha visto sorgere tanti movimenti e nuove comunità di grande slancio missionario, una stagione che è uno dei frutti più belli del Concilio. L’esperienza è quella di una ricezione postconciliare adeguata alle sfide di un cambiamento d’epoca. Innanzitutto, per Sant’Egidio, nelle grandi città del mondo globale, vivendo una vocazione fondata sul duplice fondamento della Parola e del servizio ai poveri, con un impegno nelle tante periferie geografiche ed esistenziali, a contatto con le angosce e le speranze di tutti, con amicizia e operosità, senza rassegnazione. In tal modo la fede diventa cultura e cammino. E qui c’è tutto il valore dell’azione del laico, «colui», scriveva Congar, «per il quale le cose esistono».


[ Marco Impagliazzo ]