Riccardi: dalle fedi la coscienza che siamo una sola umanità

Esponenti di religioni differenti uniti nel chiedere più azioni di riconciliazione. Il messaggio del Papa: mai cedere al demone della guerra e al terrorismo. Parla l'imam di Al-Azhar, Al-Tayyeb: no al sangue versato in nome di Dio

Trentadue anni dopo l'incontro tra i grandi leader religiosi di Assisi la pace non ha ancora un nome. Andrea Riccardi si aggrappa a una delle poche certezze, quella «coscienza che tutti formiamo un'unica umanità» che è una «coscienza basilare, semplice come il pane e necessaria come l'acqua, solida e rasserenante» che ci fa scommettere sulla capacità delle religioni di «rianimare i cantieri dell'unità della famiglia umana». Ma anche il fondatore della Comunità di Sant'Egidio che dal 1986 si impegna a rinnovare ogni anno lo spirito di Assisi, domenica, inaugurando il meeting alla Fiera di Bologna, è parso preoccupato per questo «mondo spaventato, diviso e arrabbiato», che ha un gran «bisogno di una visione globale ed ecumenica per vivere e le religioni sono quel soffio sereno che alimenta la coscienza del destino comune dei popoli».
Se per 
Sant'Egidio la pace ha il nome e il volto di una profuga palestinese salvata da papa Francesco a Lesbo - Nour Essa ha raccontato la sua storia ad un gremitissimo Palacongressi, in Fiera - alla 32a edizione del meeting in corso fino a stasera nel capoluogo emiliano, non sono mancati messaggi forti che dimostrano quanto lunga sia ancora la strada per la pace vera. A partire da Antonio Tajani, il quale ha denunciato «un attacco all'Europa concentrico, da Est ma anche da alcune lobby americane che hanno interesse ad avere potere sul mercato interno europeo». Ancor più dure le parole dell'imam sunnita di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb: dopo aver affermato che «le religioni sono innocenti del sangue sparso nel loro nome» ha denunciato «la politica della discriminazione razziale, con un uso spregiudicato della forza per sottomettere l'altro perché diverso». Per il grande imam, non è in atto uno scontro tra religioni ma «uno scontro tra culture, tra una cultura unica e il resto delle culture mondiali. L'obiettivo è annientare le civiltà del mondo per far sopravvivere una sola civiltà. Ma la mia religione mi insegna che Dio ha creato gli uomini diversi e ha codificato che restino diversi fino alla fine dei tempi, chiedendo loro di conoscersi e custodire questo mondo». Al Tayyeb ha parlato di «una guerra crudele non dichiarata che porterà per forza a uno scontro» ma ha ringraziato papa Francesco come una delle poche voci che si alzano contro «l'esodo forzato dei poveri».
La tavola rotonda si era aperta proprio con un messaggio del Papa in cui Bergoglio esortava a non arrendersi al «demone della guerra», alla «follia del terrorismo», alla «forza ingannevole delle armi». Il Papa stigmatizza la generale indifferenza, atteggiamento che non può essere quello dei credenti - «le religioni, se non perseguono vie di pace, smentiscono se stesse» - e domenica ha lanciato un invito che salda la discussione bolognese al Sinodo in corso: «coinvolgere, in maniera audace, perché crescano alla scuola della pace e diventino costruttori ed educatori di pace».
Avviando la discussione, l'arcivescovo Matteo Zuppi, ha accostato la strage nazista di Marzabotto a quella dei migranti nel Mediterraneo, ma ha anche ricordato che a Marzabotto si trova l'unico monumento che ricorda le vittime di entrambi gli schieramenti, perché «in realtà l'uomo uccide ma vuole vivere». Per riuscirci, secondo il rabbino capo di Francia Haim Korsia, l'umanità «non ha bisogno di ponti. La via più diretta dal punto "a" al punto "b" non è la linea retta ma il sogno: bisogna sognare il ponte che scavalca l'abisso. Spesso, invece, costruiamo dei ponti spirituali che sono una proiezione del nostro orgoglio: i ponti vanno edificati dentro noi stessi». Non un esercizio semplice in Medio Oriente, da dove proviene il patriarca siro -ortodosso Ignatius Aphrem II. A Bologna ha spiegato che per il suo popolo «costruire ponti di pace non è una scelta ma una necessità» stigmatizzando la diaspora dei cristiani dall'Iraq: «l'80% ha ormai abbandonato il Paese». Secondo Aphrem II, «la pace che siamo chiamati a costruire non può essere solo il risultato di accordi tra governi ma del nostro rapporto con il Signore: quella che san Paolo definisce la pace di Dio sorpassa ogni intelligenza, è una pace da cui non si attende nulla in cambio».
La riflessione si è conclusa con l'intervento dell'induista Sudheendra Kulkarni. Il presidente della Observer Research Foundation ha messo in relazione i venti di guerra che sferzano il pianeta con il «feticcio degli stati nazione» che «costruiscono muri di divisioni artificiali, come avviene tra India e Pakistan». Non li si cancellerà per decreto, ma si deve pur ricordare, ha detto, che «il concetto di sovranità nazionale imposta oggigiorno è anacronistico rispetto alla tendenza alla globalizzazione crescente e irreversibile» e costruire ponti di pace significa lavorare perché «la specie umana viaggi dal nazionalismo conflittuale ad una nuova era di internazionalismo cooperativo». Citazione finale dai Veda: " Vasudhaiva kutumbakam" che in sanscrito significa «il mondo intero è una famiglia unita».


[ Paolo Viana ]