Pranzo in carcere per 100 detenuti in cerca di riscatto

L'iniziativa
Indigenti e stranieri insieme grazie alla Comunità di S. Egidio

I passi risuonano nel vuoto mentre, dall'ala dell'accoglienza, s'attraversa il lungo corridoio che taglia in due il penitenziario Uccella. Sulla destra e sulla sinistra ci sono i reparti che portano i nomi dei fiumi, corsi d'acqua che, qui dentro, non comunicano. Sono isolati dal lungo corridoio che porta a un androne, dietro l'ennesima inferriata verde, dove si spalanca un breve, stonato ma intenso arcobaleno di colori. Alle porte del teatro sono esposti i lavori dei detenuti, sembrano enormi origami e molti riproducono uccelli. Impossibile non pensare alle ali, simbolo della libertà, intagliate col cartone, minuziosamente, su quegli animali di carta da chi
ha il mondo chiuso in cella, e vede fuori solo la sagoma squadrata dello Stir. Oltre l'esposizione, c'è l'area destinata ai dieci detenuti che aderiscono al progetto "Epoché", scuola di teatro animata tra gli altri dal magistrato di Sorveglianza Marco Puglia. Energico e giovane, Puglia ieri era seduto in mezzo ai cento detenuti che hanno preso parte al pranzo di inizio anno dentro le mura del penitenziario di Santa Maria Capua Vetere. Le loro storie, quelle dei detenuti ammessi al banchetto organizzato per il sesto anno dalla Comunità di Sant'Egidio, si sono intrecciate intorno ai piatti dorati con l'antipasto tipico della tradizione napoletana: l'insalata di rinforzo. Per molti di loro è una pietanza esotica. Sono molti gli stranieri che siedono alle tavole imbandite. Gli altri sono italiani particolarmente indigenti. Quasi tutti non usufruiscono del col- loquio perché, seppur hanno dei familiari, si trovano all'estero o non hanno denaro a sufficienza per raggiungere il carcere, fuori mano anche per chi vive in Campania.
Il pranzo è l'occasione per consentire ai detenuti «ultimi» tra gli ultimi di trascorrere qualche ora di svago. Di socializzare. Quasi tutti hanno commesso reati minori e sono detenuti modello. Non ci sono persone accusate di reati di mafia o di crimini violenti. Della compagnia fa parte, ad esempio, Matteo (il nome è di fantasia), che in carcere ci è finito sette anni fa dopo essere diventato una sorta di Lupin napoletano. Rapinava banche, ne ha svaligiate a decine, e lo ha fatto disarmato. Entrava nell'ufficio del direttore vestito con un uomo d'affari con una valigetta. «Nella ventiquattrore ho una pistola, fuori i soldi». Era convincente al punto che nessuno ha mai pensato che la borsa fosse vuota. «Poi sperai che mi catturassero - racconta a chi lo conosce.- Ero sul corso Secondigliano a Napoli e mi augurai di essere arrestato, che qualcuno mi fermasse». Nel 2012 lo hanno preso. È in carcere da sei anni e dovrà scontarne altri quattro. Al pranzo sorride agli altri. Sembra sereno. Ma su molti volti c'è smarrimento. D'altronde molti detenuti soffrono para-patologie dovute alla mancanza di spazio. Danni alla vista o perdita di equilibrio. «Un detenuto mi raccontò di aver rinunciato a un permesso premio tanto erano forti i capogiri che lo colsero dopo aver messo piede fuori dal carcere», racconta Puglia.
In carcere sono diversi i percorsi di recupero e di avviamento al lavoro. Proprio a Santa Maria era detenuta fino a qualche tempo fa la sorella di Gemma Donnarumma, temibile moglie del capoclan Valentino Gionta di Torre Annunziata. «Si appassionò al cucito, diventò una sarta provetta», spiegano dal penitenziario. Oltre ai volontari, con lo storico portavoce Antonio Mattone della comunità Sant'Egidio, al pranzo hanno preso parte il garante per i detenuti, Samuele Ciambriello, il parlamentare Gianfranco Di Sarno, della commissione giustizia. A fare gli onori di casa, il direttore Elisabetta Palmieri. Accanto ai progetti di recupero e inserimento dei detenuti, tiene banco il problema idrico che affligge la struttura. Questione che andrà affrontata con il Comune prima dell'arrivo dell'estate e del ripresentarsi degli ennesimi disagi che colpiscono tanto i detenuti quanto il personale dell'Uccella.

 



[ Mary Liguori ]