Il bene comune ridotto a slogan

L'analisi

Giuseppe Galasso diceva che i problemi di Napoli sono il frutto di un’accumulazione storica che prende forma tra il XV e XVI secolo e ancora oggi non sembra aver sciolto i propri nodi, mentre città come Milano e Torino hanno problemi risalenti grosso modo all’ultimo secolo.Tuttavia se permangono antiche contraddizioni, gli ultimi anni sono stati caratterizzati da nuovi e veementi conflitti tra istituzioni e mondi che invece dovrebbero contribuire a ricostruire il tessuto morale, economico e sociale della città.
Una fotografia che è stata focalizzata nel reportage di Gigi Di Fiore sulle pagine di ieri de Il Mattino. A Napoli tutti sono contro tutti. A cominciare dal sindaco Luigi De Magistris e dal Governatore della Regione Vincenzo De Luca, che invece di trovare sinergie e collaborazioni fattive per mettere a sistema interventi necessari per il rilancio di una metropoli complessa, non perdono occasione per litigare, distinguersi e scaricare sull’altro le colpe delle cose che non vanno.
Eppure appartengono entrambi alla stessa area politica, che sappiamo oggi essere in minoranza nel Paese e avrebbero tutto l’interesse per coalizzarsi e tentare un rilancio dei progressisti, almeno nel territorio campano.
L’elenco delle diatribe che si sono aperte nell’ultimo decennio è lungo: a cominciare dai commissariamenti delle tre principali organizzazioni sindacali, per continuare con l’Autorità portuale, la Camera di commercio, la Fondazione Banco Napoli, la querelle dello stadio San Paolo. Per non dimenticare lo scontro durissimo per l’elezione del presidente dell’Ordine degli avvocati.Tutte vicende caratterizzate da forti personalismi dove è stato messo da parte l’interesse collettivo della città e dei suoi abitanti. Lo stato a cui è ridotta Napoli è sotto gli occhi di tutti. Il fallimento del rilancio di Bagnoli, quello che si preannuncia per le imminenti universiadi, il  degrado urbano e morale, la presenza di una camorra giovane e violenta sono tutti fenomeni che richiederebbero una nuova presa di coscienza e la ricerca di una seria collaborazione tra le istituzioni. Una rete di relazioni che si è logorata e sfilacciata e andrebbe ritessuta e rammendata con cura e uno sguardo alto.
Purtroppo mi sembra che manchi un’autorità morale che sia in grado di riannodare le maglie di questa rete, che sappia far dialogare i protagonisti delle contese e trasformare i personalismi in azioni comuni per il bene della collettività.
Eppure Napoli è stata una città di cultura, di grandi intellettuali. Resta aperta la questione posta da Polo Macry sul perché questa cultura non sia mai diventata patrimonio dei governi locali, senso dell’istituzioni, civismo.
Oggi sono ancora vere le parole di Aldo Masullo riportate nel libro intervista “Napoli siccome immobile” di vari anni fa. Il filosofo parlava della mancanza della “societas”, che indica un rapporto meramente collaborativo tra i “socius”, gli alleati in funzione di un obiettivo comune. A Napoli non si è mai radicata l’idea dell’alleanza tra estranei nella comune impresa della città. Una caratteristica trasversale, comune tanto alle classi dirigenti quanto alla borghesia, che hanno difeso piccoli o grandi interessi di casta senza essere parte organica della società.
Quali idee si hanno oggi per il futuro di Napoli? Quale sviluppo economico e urbano si immagina per la città metropolitana? Quale visione culturale e identitaria si va costruendo? Sono domande che non trovano risposta, dibattiti che non vengono aperti, mentre le pagine dei giornali e i social si riempiono di sterili discussioni e invettive litigiose.
Sembra un destino ineluttabile. E ora che si avvicina la Pasqua mi tornano alla mente le dispute familiari su chi facesse la pastiera più buona, dove ognuno si sentiva l’interprete più autentico della vera ricetta napoletana. Ma questa è un’altra storia.

 

 


[ Antonio Mattone ]