Intervista a Andrea Riccardi: “Abbandonare la politica della paura e ricucire un tessuto comunitario"

Intervista a Andrea Riccardi: “Abbandonare la politica della paura e ricucire un tessuto comunitario"

«Sul buon governo può consolidarsi una nuova maggioranza», afferma lo storico Andrea Riccardi, fondatore di Sant'Egidio, presidente della Società Dante Alighieri, ex ministro della Cooperazione.
Cosa unisce Pd e 5 stelle?
«Sono partiti con storie e antropologie diverse. Può unirli la sfida di lavorare al governo con pazienza. 5 stelle e Pd fanno fatica a trovarsi insieme, anche come valori, ma possono farlo affermando il primato del buon governo. La sfida è riprendere a governare l'Italia : è un servizio necessario».
Ma con quale programma?
«Va garantita la governabilità con la maggioranza possibile. Il buon governo funziona nelle sedi istituzionali, fa e non sta in campagna elettorale permanente, ascolta i cittadini e rìsponde al Parlamento. In un'età post-ideologica serve pazienza per lavorare su un programma di governo. Bisogna uscire dall'interesse di parte. E' un momento grave: c'è bisogno di sguardo da statisti e coraggio di superarsi. Troppi leader non guardano oltre al loro destino personale e della propria parte».
Come si archivia la stagione sovranista-populista?
«Gli italiani non stanno bene: sono spesso spaesati e arrabbiati, confusi in una massa. Bisogna sporcarsi le mani nella società e ricostruire un tessuto
comunitario, capace di mediare e integrare un mondo di soli. L'emergenza non è l'invasione alle frontiere, ma è dentro la società. Serve una risposta ai 150 mila che se ne vanno ogni anno dal Paese».
Cosa non ha funzionato nella strategia di Salvini?
«La politica ha usato la paura, lo spaesamento. Bisogna ripartire dalla centralità del Parlamento e dal "buon governo", insegna Einaudi. I problemi degli italiani non si risolvono nelle crociate contro qualcuno e nei bagni emotivi. Il nemico non è alle frontiere, è in casa. Il problema è la qualità della vita che facciamo non la difesa dei confini».
Mai tanto sfoggio di religiosità in politica. E la Chiesa?
«Tranne qualche cinguettio
estivo, abbastanza silente. La religione non è mai stata così centrale nel dibattito parlamentare. La Chiesa appare un gigante silenzioso, se si esclude il Papa con la sua passione evangelica. Eppure tanti cattolici lavorano per tenere insieme il tessuto comunitario. Deborda una religione liquida, sconnessa dalla Chiesa. Manca una cultura di popolo che unisca Chiesa, gente e religiosità. La persone, anche religiosamente, sbandano. Il mondo globalizzato è religioso ma è una religione sconnessa dalla cultura. Accade anche nell'Islam. È una religione "fai da te", scollegata dalle istituzioni: non crea comunità ma emozioni».
E da cosa nota una svolta?
«14 milioni di italiani hanno seguito martedì il dibattito in Senato. Vogliono una politica di parole e di fatti e non di invettive, apprezzano la serietà di Conte e la determinazione di Mattarella a indirizzare la crisi sul binario della democrazia parlamentare. Stavamo scivolando in un regime plebiscitario pro o contro un leader e nell'ingovernabilità di un conflitto interno di un esecutivo assente».
Ora un governo Pd-5 stelle?
«Il Paese va governato nel turbine della crisi economica in cui stiamo entrando.La scenario internazionale in movimento impone che il Paese sia governato e ancorato a salde alleanze: non allo sbando d'improvvisazioni. Poi c'è l'esigenza di più lungo termine di una trasformazione del tessuto del Paese. La globalizzazione l'ha cambiato. Il regime plebiscitario l'ha snaturato. Siamo passati dall'Italia delle cento città all'avvilimento dello spirito 
comunitario, a una massa di persone sole, marginalizzate, in cerca di una rappresentanza politica attraverso la verticalizzazione, il leaderismo, la caccia al nemico, il culto delle emozioni, il bagno vivificatore delle elezioni-referendum. Ma la gente non vuole essere periferica: buon governo e lavoro nella società potranno liberare dalla paura del futuro».


[ Giacomo Galeazzi ]