«Masslo, nulla è cambiato a 30 anni dall'assassinio»

Domani a Villa Literno la cerimonia di commemorazione del rifugiato sudafricano Jerry Essan Masslo assassinato 30 anni fa a scopo di rapina. Daniela Pompei (Comunità di Sant'Egidio) ricorda l'incontro con il giovane. E spiega come la condizione degli immigrati oggi non è cambiata.

 «Di lui ricordo il sorriso e la passione per la chitarra». Daniela Pompei, della Comunità di Sant'Egidio, racconta Jerry Essan Masslo a trent'anni dall'uccisione. Fu assassinato la sera del 24 agosto 1989 a Villa Literno, nella baracca del «Ghetto rosso» dove alloggiava con altri migranti, da alcuni giovani i quali erano andati lì per rapinarli di quel poco che avevano guadagnato lavorando nei campi. Masslo si ribellò, quelli spararono. Domani alle 17, al cimitero di Villa Literno dov'è sepolto, una delegazione di italiani e stranieri provenienti da varie città marcerà silenziosamente ed alla fine saranno deposti fiori anche in omaggio ad alcune tombe senza nome di migranti collocate accanto a quella di Masslo.
«Ho conosciuto Jerry - Pompei fa un salto indietro nel tempo - nel 1988. Era l'inizio di maggio. Lui era arrivato in Italia il 2 marzo in fuga dal Sudafrica, dove suo padre ed il suo figlioletto di 7 anni erano rimasti uccisi durante una manifestazione contro l'apartheid. In Nigeria si era
imbarcato su un volo verso l'Italia. Aveva acquistato il biglietto aereo vendendo il suo orologio ed un bracciale d'oro. Atterrato a Fiumicino - prosegue il racconto - chiese asilo, ma all'epoca l'Italia riconosceva lo status di rifugiato solo a chi proveniva dall'Europa dell'est. Rimase in aeroporto quattro settimane e del suo caso si interessarono Amnesty International e l'agenzia dell'Onu per i rifugiati, che avviarono una trattativa con il ministero degli Interni. Alla fine Masslo ottenne il permesso di restare in Italia».
Amnesty contattò poi la Comunità di 
Sant'Egidio affinché lo ospitasse.
«Fu - ricorda Pompei - tra i primi che entrarono nella Tenda di Abramo, la nostra casa di accoglienza a Trastevere». Visse
a Roma un anno e poi, con i suoi compagni di stanza, decise di spostarsi a Villa Literno per la stagione dei pomodori. «A fine luglio 1989 - prosegue - ero andata a trovarlo. Viveva in una casa abbandonata e mi accompagnò a vedere la rotonda dove i migranti si fermavano all'alba in attesa che i padroncini li prelevassero con i camion per la giornata di raccolta. Bevemmo qualcosa in un bar e rimasi colpita della separazione totale che c'era tra la popolazione locale e gli africani. Quella fu l'ultima volta che lo vidi da vivo».
Alle esequie intervenne Claudio Martelli, il vicepresidente del Consiglio dei Ministri. La cerimonia fu trasmessa dalla Rai. Associazioni e sindacati si mobilitarono. «Poco dopo - sottolinea Pompei - fu approvata la leg
ge Martelli con la quale si eliminò la clausola geografica. Da quel momento in Italia si poté chiedere asilo provenendo da qualsiasi Paese del mondo. Allo stesso tempo si regolarizzarono i lavoratori stranieri presenti. Emersero dalla clandestinità circa 220.000 immigrati».
A Napoli nacque la scuola di Lingua e Cultura Italiana della Comunità di 
Sant'Egidio la quale - ricorda Francesco Dandolo, uno dei promotori - nei trent'anni di attività ha accolto oltre 20.000 studenti stranieri. Anche a Villa Literno, dopo quell'omicidio, partirono iniziative nelle scuole e tra i ragazzi per sensibilizzarli sui temi dell'immigrazione e dell'accoglienza.
Eppure, se oggi si pensa alle condizioni nelle quali maturò la tragedia di Masslo, non si può non dire che tanti nodi sono ancora irrisolti. «Resta senza risposte - sottolinea Pompei - la questione di garantire ai migranti che lavorano nei campi come stagionali alloggi decorosi e salari decenti. Specialmente al Sud e nonostante siano state anche stanziate risorse pubbliche, permangono baraccopoli e sistemazioni di fortuna».
Ancora non c'è, poi, una norma che garantisca ai figli nati in Italia degli immigrati la cittadinanza . «Se non lo ius soli - riflette la rappresentante di 
Sant'Egidio - almeno lo ius culturae. Qualcosa che renda italiani i bimbi nati qui e che abbiano seguito un ciclo di cinque anni di scuola».
In più, c'è ora una febbre nel Paese, una malattia alimentata anche dalle parole di alcuni esponenti politici, per la quale non pochi italiani addebitano ai migranti le proprie difficoltà. I penultimi si scagliano contro gli ultimi.«Io però - conclude Pompei resto ottimista. L'Italia è migliore di quanto a volte appaia dai social». La prova? «Le famiglie che ospitano 1600 tra siriani, etiopi, iemeniti e somali arrivati qui grazie ai corridoi umanitari attivati dalla Comunità di 
Sant'Egidio in collaborazione con la Caritas, gli evangelici ed i valdesi. Ce ne sono tre anche in Campania».


[ Fabrizio Geremicca ]