La forza del prete di strada

La forza del prete di strada

Elzeviro. Il neocardinale Matteo Zuppi

Stava camminando per strada, a Bologna, quando squillò il cellulare e ricevette l'annuncio. Dal telefonino, quello dell'amico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio. «Matteo, sei stato nominato cardinale. Complimenti». Una risata sonora in risposta al vecchio amico: «Piantala di prendermi in giro». Mentre Riccardi insisteva per confermargli che era vero, alcuni bolognesi si erano avvicinati al loro vescovo Matteo Zuppi per dirgli che avevano appena ascoltato la notizia alla radio. Papa Francesco aveva annunciato la nomina a cardinale del'unico pastore italiano (riceverà lo zucchetto rosso vermiglio il 5 ottobre) che tanto somiglia al pontefice. Che frequenta la gente, che contamina e si lascia contaminare dagli altri, che è vicino ai poveri, agli ultimi, che denuncia il crescente razzismo nel mondo, che ricambia con naturale affetto tutti coloro che incontra.
Non è facile conquistare la gente, entrare in piena sintonia con gli altri. Matteo è la prova vivente di quello straordinario pensiero del presocratico Eraclito: «Il destino dell'uomo è il suo carattere». Quasi inutile spiegare perché il personaggio più cercato e ricercato, anche durante l'incontro della Comunità di 
Sant'Egidio «Pace senza confini», tra rappresentanti religiosi e laici, tenutosi a Madrid, sia stato proprio quello che i bolognesi chiamano affettuosamente «don Matteo».
C'è chi ha accostato la figura dell'ormai prossimo porporato al Terence Hill della fortunata serie tv. Ma, se è possibile, Matteo 
Zuppi è molto più autentico del prete in bicicletta. Quando lo hanno nominato arcivescovo di Bologna Zuppi era ancora un umile «prete di strada», come amava definirsi, ridacchiando alla sola idea che esistano «preti di salotto». E il suo primo gesto, nel capoluogo dell'Emilia, è stato di portare un
mazzo di fiori sulla lapide che ricorda i morti della strage di Bologna.
Matteo, cresciuto nei quartieri poveri di Roma, avvicinatosi sin dall'inizio alla Comunità di 
Sant'Egidio, è stato il primo motore del più grande successo umano e politico della Comunità: la pace in Mozambico. Nessuno voleva incontrare ufficialmente i belligeranti. Racconta il neo- cardinale: «Li ho portati in una trattoria romana. Abbiamo mangiato assieme fagioli con le cotiche ed è cominciato il percorso».
Ho conosciuto un certo numero di prelati, cardinali compresi. Devoti alla forma, come Giuseppe Siri, conservatore che fu costretto a rinunciare al papato nel 1958, dopo essere stato nominato, per ragioni che i servizi segreti americani cercarono di ricostruire dopo il Conclave. Bonari come Lercaro. Irritanti come Bertone. Seri e impegnati come Silvestrini, grande amico del direttore del «Corriere» Alberto Cavallari, che fu decisivo nell'aiutarmi a smascherare la bufala della pista bulgara dietro l'attentato a Giovanni Paolo II. Fraterni e coraggiosi, come l'ex nunzio apostolico a Sofia, Rizzi. Ma nessuno mi ha colpito come Matteo 
Zuppi, incapace di scortesie e traboccante di umanità.
Pochi giorni fa a Bologna, dove ho partecipato alla presentazione di un libro sugli Stati Uniti di Trump e la lotta al terrorismo internazionale, ho inviato un sms a 
Zuppi. Rapida la risposta. «Sono impegnato per oltre un'ora, ma se mi dici dove siete, vengo a salutarvi». Nell'ala della libreria «Ambasciatori», trasformata in ristorante, don Matteo è arrivato, scherzoso e amabile come sempre. Mi è venuto un pensiero quasi «irriverente»: «Matteo, come dovremo chiamarti dal 5 ottobre, "cardinale di strada"?».


[ Antonio Ferrari ]