Rubattino, dieci anni dopo I ragazzi del campo rom hanno una casa e una scuola

Qui Milano

Il 19 novembre 2009 Florina vedeva la cartella di sua figlia distrutta dalle ruspe. Quella del fratello maggiore, invece, l'aveva salvata una maestra. Alla sera la famiglia era disperata sotto i piloni della tangenziale est di Milano: qualche coperta veniva distribuita dalla Comunità di Sant'Egidio insieme ad alcuni genitori delle scuole. All'alba era arrivato l'esercito e aveva sgomberato i 400 rom della baraccopoli di via Rubattino. Erano gli anni della "caccia al rom", in cui la giunta Moratti rivendicava il traguardo dei 500 sgomberi. In realtà erano operazioni inutili e costose, colpivano sempre le stesse persone: il nipote di Florina arrivò a subirne venti in un anno.
Questa mattina, esattamente dieci anni dopo, Florina si è svegliata in una casa (dove paga regolarmente l'affitto) della periferia sud di Milano, è andata all'albergo a due passi dal Duomo dove lavora come cameriera, mentre suo marito fa il saldatore. In metropolitana ha fatto i quiz: sta preparando l'esame della patente. I due figli, invece, quelli delle cartelle di dieci anni fa, sono in classe (terza superiore) e al quarto mese di lavoro in un ristorante, terminata la scuola professionale. L'altroieri, come tutte le domeniche, sono stati come volontari in un istituto di anziani del quartiere Corvetto, insieme ai Giovani per la Pace di Sant'Egidio.
Quella di Florina è solo una delle 73 famiglie rom (350 persone) passate dalle baracche di Rubattino alla casa. «È finito il tempo dei topi e delle ruspe» dice. In tutti questi nuclei almeno un adulto lavora, la scolarizzazione dei minori è del 100%, dall'infanzia alle superiori. Le ferite del passato rimangono - due ragazzi hanno diagnosi neuropsichiatriche che rilevano i traumi dovuti agli sgomberi - ma la vicenda di Rubattino rappresenta uno dei più significativi percorsi di integrazione di rom in Italia degli ultimi decenni. È stato realizzato interamente da persone che hanno operato a titolo gratuito: la Comunità di Sant'Egidio e i tanti cittadini che si sono uniti in questa catena di solidarietà.
Lo sgombero del 2009 fu una svolta per Milano, perché provocò una reazione inaspettata: insegnanti, cittadini e genitori dei compagni di classe ("Mamme e Maestre di Rubattino") aprirono le porte di casa per dare ospitalità alle famiglie sgomberate, centinaia di cittadini si mobilitarono per raccogliere coperte e pasti caldi. Infatti, grazie al lavoro culturale che Sant'Egidio aveva svolto nel quartiere, per tanti residenti i rom non erano più "gli zingari", una categoria infida e minacciosa, ma erano diventati "il mio alunno", "il compagno di classe di mia figlia". I rom erano Florina, Adrian, Cristina. «La risposta della città- disse il cardinale Dionigi Tettamanzi- non può essere l'azione di forza, senza alternative e prospettive, senza finalità costruttive». Fece scalpore la reazione, non contro i rom, ma a favore del diritto allo studio dei bambini, ma la vera notizia è quanto successo nei dieci anni successivi. Quei legami, costruiti all'uscita di scuola ma anche distribuendo una coperta sotto il pilone della tangenziale, non sono terminati. La prova sta nel cellulare di Florina: ci sono i numeri degli amici di Sant'Egidio, quello della maestra che salvò la cartella e della mamma di un compagno di scuola della figlia. Spiega la Comunità, che in questi anni ha coordinato le azioni solidali: «In questi dieci anni ci siamo legati in amicizia attorno a persone rom e abbiamo legato altri, mostrando come la solidarietà possa essere contagiosa. La vicenda di via Rubattino sconfigge la rassegnazione e ci insegna che è più bello per tutti - rom e non rom - vivere gli uni insieme agli altri e non gli uni contro gli altri».


[ Stefano Pasta ]