L'analisi di Andrea Riccardi. La grande sfida contemporanea

L'analisi di Andrea Riccardi. La grande sfida contemporanea

«È stato quasi come ritornare ai tempi della Cristianità unita». Fu questa l'osservazione che, subito dopo l'incontro barese con i Patriarchi Orientali nel luglio 2018, Papa Francesco condivise con lo storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, già ministro del governo Monti e in libreria con il recente volume La preghiera, la parola, il volto (Ed. San Paolo). «Quella fu davvero una giornata di luce e di svolta, un punto da cui ripartire nel difficile cammino del dialogo», commenta oggi l'accademico - docente di Storia dei partiti politici a Bari dal 1980 al 1986 - ragionando sull'imminente visita del Pontefice e sulla complessa sfida della frontiera mediterranea.

«L'incontro del 23 di soli vescovi cattolici della riva Nord e della riva Sud del mare nostrum ha senso solo se nel lungo periodo mira ad incontri pancristiani, con i volti dell'Islam e dell'Ebraismo. C'è un percorso davanti a noi, ma dobbiamo riuscire a guardare ai processi, come suggerisce il Papa. Altrimenti si rischia di vanificare ogni sforzo».

Professor Riccardi, il Mediterraneo «mare di pace» è una bella utopia o una prospettiva concreta? «È un'utopia. Ricordo un incontro a Bari del 1990 dedicato proprio a questo tema, mentre il mondo era scosso dal fragore della prima guerra del Golfo. L'allora arcivescovo Mariano Magrassi, in un intervento molto denso, affermò in piena verità: non dall'Oriente, non dall'Occidente, ma dal Signore viene la Salvezza. Già allora sognavamo un mare di pace, ma sono passati trent'anni».

E cosa è accaduto nel frattempo? «Si sono verificati un'infinità di problemi: la guerra in Siria, in Libano, la crisi Libica, la questione della Terra Santa che non si è risolta ma, anzi, si è deteriorata. Una catena di tensioni e conflitti drammatici».

Qualche bagliore nella notte buia? «Certamente il caso della Tunisia, un Paese in grande difficoltà, che però ha affrontato la gestione dei propri problemi attraverso la democrazia. E poi le "primavere arabe", un fenomeno complesso, ma ascrivibile a quella voglia di esprimersi e farsi proposta politica da parte della società civile e del mondo giovanile, oggi protagonista anche in Europa».

Tante ombre e qualche luce: che insegnamento si può trarre da tutto questo? «Se ne può trarre uno, prezioso: non è con la forza che si pacifica il Mediterraneo perché è un mare estremamente plurale, con tanti soggetti politici, religiosi e culturali. Con l'eccezione del periodo romano, quel mondo non è mai appartenuto a un unico impero o a un unico centro. Dunque, c'è bisogno di un dialogo permanente che purtroppo oggi manca».

Quindi addio all'utopia... «Negli anni abbiamo giocato con i sogni di pace ma di quei sogni c'è un bisogno disperato, soprattutto oggi, perché sono la risposta al pessimismo che circonda il Mediterraneo vissuto non più come luogo di coabitazione ma di scontro».

Se questa è la sponda Sud, cosa accade a Nord? «Nella parte europea si avverte forte la decadenza delle nostre società che non sono più quelle che erano e non contano più quanto contavano prima. E poi aleggia quella paura del Sud che induce a sognare i muri in acqua. Ma, lo ripeto, la vera soluzione è il dialogo. Per fare un esempio concreto, l'Unione mediterranea proposta anni fa dalla Francia, purtroppo senza esito, credo possa essere un modello di risposta».

D'accordo, professore, ma chi si incarica oggi di fare il primo passo? «Dovrebbe farlo l'Unione europea ma i Paesi che la compongono non giocano mai insieme, ma in modo conflittuale come dimostrano le recenti cronache della crisi libica. La verità è che non abbiamo maturato una visione continentale e, così procedendo, il Mediterraneo è diventato luogo di influenze turche e russe. Non bisogna escludere nessuno, ci mancherebbe, ma nemmeno autoescludersi per paura e mancanza di visione».

Ma, pur sottotraccia, tra conflitti e lacerazioni, sopravvive una «unità profonda» della cultura mediterranea? «Il contesto è plurale ma una unità esiste. Le tre religioni abramitiche e gli scambi commerciali hanno contribuito senza dubbio a costruirla e a svilupparla, creando situazioni che definirei meticce. Le tensioni contemporanee sono quindi due: una forte, legata alla diversificazione, che spinge al conflitto e un'altra che porta all'unità. Sono due processi contraddittori che si rintracciamo ovunque: in Europa, nei Balcani, tra i Paesi della Lega Araba. Mondi uniti e divisi al contempo che ci raccontano una sola cosa: nessuno è autosufficiente».

Se questa è la base, quale può essere un luogo da cui ripartire? «Bari è un punto d'approdo fondamentale per l'ecumenismo. La memoria di San Nicola, la storia delle relazioni mediterranee, l'incontro dello scorso anno alla presenza della Chiesa Russa. Ecco, credo che la città possa assumere questa grande responsabilità e, d'altronde, la chiesa barese ha sempre lavorato lungo tale direttrice».


[ Leonardo Petrocelli ]