Pesi? No, persone Il modello Trieste rivaluta gli anziani

La sfida di chi si occupa di assistenza: «Le case di riposo non sono l’unica soluzione. Va riscoperta la domiciliarità»

 «Sarebbero morti presto». «Erano vecchi». «Erano malati». Frasi ricorrenti, in questi mesi di pandemia da Covid-19. Frasi che rischiano di anestetizzare l'opinione comune di fronte al dramma che colpisce, in particolare, una generazione. Quella più anziana. Il presente, però, è diventato anche occasione per una riflessione profonda, non solo sull'organizzazione dei servizi ma, soprattutto, sul valore della senilità. Anche a Trieste, diverse voci di operatori del settore animano il dibattito per proporre strade nuove e favorire una crescita collettiva.

LA SENILITÀ ALL'EPOCA DEL CORONAVIRUS
Il periodo di emergenza ha messo in luce una gestione talvolta insufficiente,
pur limitata dal carattere di eccezionalità. «È inaccettabile che nella società del benessere, in cui la vita si è allungata, la senilità diventi una zona d'ombra», osserva Loredana Catalfamo responsabile della Comunità di Sant'Egidio di Trieste. Giovanna Pacco, direttrice dell'Associazione de Banfield, sottolinea come la quotidianità sia stata stravolta: «Certo, nessuno era preparato a un'emergenza di questo tipo, che comprende una serie di problematiche sanitarie e organizzative. Ma è stato messo in luce un vuoto che va colmato». Anche Michela Flaborea, presidente di Televita Spa, parla di emergenza: «A Trieste, come nel resto della regione, si è corsi ai ripari con qualche esito positivo, sia pur senza una soluzione ottimale e con situazioni molto differenziate». Per Deborah Marizza, presidente di Pro Senectute, «l'emergenza non era preventivabile e la vera fascia di fragilità è emersa in un secondo momento».

LA DOMICILIARITA' DA RAFFORZARE
I grandi contagi che si sono registrati nelle case di riposo potrebbero portare a incentivare la rete dell'assistenza domiciliare. «La lezione che abbiamo imparato – sottolinea Pacco – è che la strada migliore è proteggere le persone nelle proprie case». Pensare che la casa di riposo sia l'unica scelta possibile «è frutto di una mentalità radicata nella nostra società che rende ogni alternativa "impossibile"», osserva Catalfamo. «Grazie alla domiciliarità stanno emergendo situazioni di fragilità che richiederanno nuove risposte», aggiunge Marizza. Favorevole alla domiciliarità anche Flaborea: «Si tratta della strada corretta perché corrisponde ai diritti delle persone e alla lunga si dimostra anche la più sostenibile».

LA NAVE RICOVERO
L'idea dell'ospizio galleggiante, destinato agli anziani delle case di riposo, non convince
nessuna delle intervistate. Sicura nel giudizio Catalfamo: «Troviamo che solo l'ipotesi sia un'assurdità, considerando peraltro la disponibilità data dagli albergatori cittadini, soluzione che non sarà perfetta ma è sicuramente ragionevole e migliore». Neanche Pacco è d'accordo: «Credo che la nave non sia la soluzione adeguata, soprattutto per gli spazi angusti, poco adatti sia per gli operatori che per i malati, che spesso soffrono di disorientamento cognitivo». Forte perplessità è espressa pure da Marizza: «Dal punto di vista logistico, per come è strutturata una nave, mi pare una contraddizione». «Non conosco i dettagli, ma dal dibattito che si è generato registro che vi sono molte criticità a partire dalla qualità degli spazi a disposizione», commenta Flaborea.

UN CAMBIO DI PROSPETTIVA CULTURALE
La svolta, per le operatrici del settore, dovrebbe essere sociale e culturale.
«Dobbiamo rieducarci al diritto di ogni anziano di rimanere a casa, dovrà innestarsi nelle logiche di bilancio. Su quella ipotetica barca ci siamo tutti, non solo i "vecchi ammalati", e dobbiamo remare insieme», commenta Catalfamo. «Gli anziani devono essere considerati una risorsa e non un peso», aggiunge Marizza. «Manca la percezione del significato delle conoscenze di cui sono portatori i nostri vecchi e spesso non sappiamo confrontarci con le loro fragilità perché in quelle abbiamo paura di incontrare le nostre», è il parere di Flaborea. «L'anziano non è altro da te. Sei tu stesso, se avrai la fortuna di avere una vita lunga», conclude Pacco.

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Loredana Catalfamo è la responsabile della Comunità di Sant'Egidio di Trieste.
La Comunità, guidata in Friuli Venezia Giulia da Paolo Parisini, opera in tutta Italia e in tutti i continenti e pone al centro dell'attenzione i più fragili, «i poveri», considerati «fratelli e amici».

Anche a Trieste, questa realtà di volontariato abbraccia, con diversi servizi ed eventi promossi sul territorio, chiunque si trovi in uno stato di bisogno: anziani, senza fissa dimora, migranti, disabili, minori e detenuti.


[ Emily Menguzzato ]