L'appello di Sant'Egidio "Cinquemila pacchi-dono non bastano più"

La povertà
"Più di cinquemila pacchi al mese ma non bastano per aiutare tutti"

Aiutateci a non dire di no a nessuno. Suona così, l'appello della Comunità di Sant'Egidio diffuso via Whatsapp e attraverso i social: una richiesta di sostegno alla città. Perché la povertà non è più legata a una situazione di emergenza passeggera: è diventata strutturale, una curva ripida che ricalca quasi quella del contagio, e fa altrettanto paura.
«La composizione dei pacchi alimentari per le famiglie, per gli anziani, per i senza dimora è ridotta - si legge nel documento - rischiamo di dover limitare l'azione di sostegno». Il punto, infatti, è che le richieste di aiuto aumentano a dismisura, la mensa è sempre piena, «una crescita inaspettata». E i volontari, continua l'appello, iniziano «ad avere problemi a rispondere a tutte le richieste». Mentre la Liguria osserva con apprensione il cambio di colore del suo territorio e le relative restrizioni previste dal nuovo decreto, gli effetti della pandemia hanno la forma concreta del pacco con il cibo per chi non riesce più a fare la spesa: a Genova, solo dalla Comunità di Sant'Egidio, ne vengono consegnati più di cinquemila al mese. Quasi cinque tonnellate di cibo, che mobilitano 450 volontari.
«Coloro che si rivolgono a noi per un aiuto sono aumentati ad aprile e maggio fino al 40 per cento - spiega Sergio Casali della Comunità di Sant'Egidio - si tratta soprattutto di persone che fino ad allora erano fuori dai circuiti della solidarietà: lavoratori precari, piccoli esercenti. Per capire la dimensione - spiega ancora Casali - siamo passati dai tre centri di distribuzione attivi prima del lockdown agli attuali otto. Se prima effettuavamo dieci distribuzioni alimentari al mese, adesso sono quaranta».
Anche le necessità cambiano, e lasciano solo intuire squarci di solitudine e di fragilità sempre più acuta. «I volontari hanno iniziato a portare gli alimenti a domicilio a trecento persone, tra anziani e adulti con problematiche psichiatriche - spiega ancora Casali - il bisogno è diventato sistemico, mentre gli aiuti, che durante il lockdown erano stati molto generosi, adesso sono ritornati nella normalità. E questo, purtroppo, non è più sufficiente».
Sì, perché se a marzo e ad aprile la risposta collettiva era stata «sorprendente, di cuore e di unità, adesso c'è tanta stanchezza sottolinea Sergio Casali - poi, accanto alla necessità materiale, c'è la difficoltà di tanti giovani». Sì, perché con la scuola a singhiozzo e la didattica a distanza, il buco educativo - nei quartieri dove il solco delle diseguaglianze sociali è già un elemento di distanziamento - rischia di diventare una voragine difficile da colmare. Per questo, i giovani volontari cercano con tenacia di proteggere uno spazio educativo: dal vivo. Con tutte le precauzioni possibili. E dunque, le sale delle Scuole della Pace resistono: al Cep, a Cornigliano, a Begato, a Sampierdarena, a Molassana, in centro storico.
Perché per tante famiglie, il computer è tutt'altro che "personal": bisogna dividerlo tra figli e genitori. La connessione a Internet non è scontata, il registro elettronico per alcuni è un mondo inaccessibile, e il lavoro di mediazione tra famiglie e scuola diventa cruciale. L'altro giorno, i giovani della Comunità di Sant'Egidio, si sono inventati il kit di sopravvivenza per la quarantena: un pacchetto con estaté, un dolce, una lettera degli amici, un disegno. Li hanno consegnati casa per casa ai ragazzi costretti in isolamento per la presenza di un compagno di classe positivo, lasciandolo sul pianerottolo. Un modo per dire: ci siamo. Per mantenere quel filo, tenace, in un tessuto sociale che rischia di lacerarsi.


[ Erica Manna ]