I profughi giunti in Italia con i corridoi Il sogno delle famiglie dopo l'odissea

I profughi giunti in Italia con i corridoi Il sogno delle famiglie dopo l'odissea

Sono davvero emozionato. Da uno a dieci, sono contento undici...». Sono le prime parole di Nico, al telefono, mentre osserva, spaesato e quasi incredulo, gli edifici e le strade di Roma. Il 17enne afghano, del quale Avvenire ha documentato per otto mesi le vicissitudini, è sceso dal volo atterrato ieri mattina all'aeroporto di Fiumicino, grazie a un corridoio umanitario. Con lui, sul volo di linea decollato da Atene, c'erano altri 26 profughi, in gran parte provenienti dall'isola greca di Lesbo e scampati al rogo del famigerato campo di Moria. Fra loro 6 nuclei familiari con figli piccoli; una madre con un bimbo con una severa patologia (che andrà a Trieste); un minore accompagnato da sua sorella e altri ancora.
I 27 (fra cui 8 donne e 13 minori) oltre che dall'Afghanistan provengono da Medio Oriente e Africa. E sono stati individuati come rifugiati da far arrivare in Europa grazie ai corridoi umanitari dalla Comunità di Sant'Egidio, che a settembre del 2020 ha sottoscritto un protocollo col ministero dell'Interno per l'arrivo dalla Grecia di 300 richiedenti protezione internazionale.
Un atto non reso noto e di cui ieri Avvenire ha dato per primo notizia, raccontando il lieto fine della lunga odissea di Nico, partito a 12 anni da Herat e approdato nel 2019 a Lesbo, dove le autorità greche lo avevano erroneamente registrato come maggiorenne col rischio di espulsione. Odissea a lieto fine. Accudito e aiutato ad Atene dai coniugi Filippo e Fabiola Bianchini in una casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII, ora il ragazzo andrà a Rovereto, in un'altra struttura della comunità.
Prima del decollo lui e gli altri profughi hanno effettuato i controlli sanitari, compreso quello relativo al Covid 19. Poi, riscontrata l'idoneità, sono stati accompagnati ad Atene dove con un volo di linea hanno raggiunto l'Italia. Dopo aver effettuato accertamenti e adempimenti burocratici nello scalo romano, a gruppetti sono stati accompagnati verso le loro destinazioni in case della rete della comunità di Sant'Egidio e di altri enti, dove saranno assistiti in un percorso d'integrazione che partirà con lo studio della lingua italiana.
«Ho uno zio in Italia».
Il gruppo di profughi è un microcosmo di storie drammatiche e coinvolgenti. C'è una famigliola algerina, con un bimbo che gioca a calcio come un piccolo Zidane. E un'altra famiglia irachena - papà Ahmed, mamma Fatima (nomi di fantasia) e tre maschietti fra i 9 e i 3 anni - fuggiti da Bassora, in Iraq, per scampare a persecuzioni politiche dopo aver manifestato per chiedere più democrazia. Sono in viaggio dal 2017 e il più piccolo, nella nuova e precaria tendopoli sulla spiaggia messa su dopo l'incendio di Moria, ha rischiato perfino di annegare fra le onde. Andranno a Caserta, ospiti di una parrocchia della diocesi. E già la mamma, velata come prevede l'islam, domanda agli operatori di Sant'Egidio: «In Italia potrò tornare a studiare? Io ho tanta voglia di riprendere...».
Infine c`è Abdul, ora 19enne ma partito tre anni fa dalla Somalia. Approdato a Lesbo, anche lui - come Nico - era stato registrato erroneamente come maggiorenne dalle autorità greche. E ha faticato non poco per far accertare la sua vera età. Sua madre è morta e in Somalia non ha più nessuno. A Moria, fermava gli operatori dicendo: «Io in Italia ho uno zio, aiutatemi». Ora è arrivato a Roma. Rintracciare i suoi parenti non sarà semplice. Ma finalmente per lui la speranza, dopo tante angosce, è più forte della paura.


[ Vincenzo Spagnolo ]