Permettiamo a figli e nipoti di visitare gli anziani nelle Rsa

È trascorso più di un anno dall'inizio della pandemia ma la reclusione degli anziani che vivono in Rsa non è ancora finita né si sa quando finirà. Questo tema sembra toccare pochi, ma in realtà è un problema di negazione dei diritti civili. Dopo le morti che non si è riusciti a editare nella prima ondata di Covidl9, varie Rsa si sono chiuse quasi totalmente all'esterno. Sembrava, ed era forse, il minore dei mali. Ma ora che gli anziani ospiti delle Rsa sono in massima parte vaccinati non è più ammissibile che questi non abbiano diritto a riprendere una vita di relazione.
La reclusione in una struttura è da considerarsi una forma estrema di contenzione, niente affatto necessaria, più dettata dai limiti organizzativi delle strutture, soprattutto la mancanza di personale. Non a caso l'Istituto Superiore di Sanità ha riaffermato la necessità di superare il modello del confinamento. Non è difficile immaginare cosa significhi per anziani fragili o confusi il `prolungato allentamento dei legami affettivi e una sospensione indebita dei contatti tra familiari". Queste persone sono sopravvissute al Covid ma la loro qualità di vita è profondamente compromessa. È necessario considerare le situazioni degli anziani in Rsa una per una e far sì che essi possano riallacciare i loro legami significativi con l'esterno.
Dopo il caro prezzo pagato da questa generazionne nella prima ondata, è indispensabile un investimento di intelligenza, creatività e risorse per ridare a ciascun anziano serenità ed equilibrio, superando i limiti organizzativi delle strutture. È necessario riammettere parenti, amici, volontari e operatori pastorali nelle strutture, in maniera ordinata e con precise procedure, con la consapevolezza che le relazioni sono parte imprescindibile di una vita sana anche, e soprattutto, a novant'anni. Maria Luisa Cito Comunità di Sant'Egidio Milano
Gentile Maria, grazie per la lettera che raccoglie l'appello lanciato proprio sulle pagine di questo giornale dalle associazioni dei famigliari degli anziani in Rsa e da don Virginio Colmegna. Le sue parole ricalcano le loro tesi e anche io sono d'accordo con voi. È necessario permettere a chi vive nelle residenze socio sanitarie di rivedere i propri affetti, una questione emotiva ma anche di salute mentale. Chi è anziano e sradicato dal proprio ambiente domestico già vive una condizione difficile dal punto di vista psicologico. È facile immaginare lo smarrimento e il dramma interiore, se a questo essere lontani da casa si aggiunge lo spaesamento dovuto al veder mancare di punto in bianco, per oltre un anno e mezzo, la possibilità di incontrare dal vivo un figlio, un nipote, un parente.
I medici e i famigliari lo confermano: i nonni "reclusi" nelle case di riposo e privati dagli affetti vivono un decadimento cognitivo e fisico enorme. Non bastano le videochiamate, non sostituiscono gli abbracci, la dolcezza del guardarsi negli occhi senza schermi e senza barriere. Ormai ci sono le condizioni per fare gli incontri all'aperto, nei giardini delle strutture, con le adeguate protezioni, con i tamponi rapidi all'ingresso, con la verifica del pass sanitario, quando ci sarà. Ci vuole poco, qualche residenza si è già attrezzata. Lo si stabilisca per regolamento e per tutte le Rsa. La vicepresidente della Lombardia Letizia Moratti è d'accordo e ha scritto ai colleghi delle altre Regioni perché si passi dalle parole ai fatti. E noi siamo contenti che abbia fatta sua questa giusta battaglia.

 


[ Zita Dazzi ]