Luoghi di Dio e di pace, non campi di battaglia

Luoghi di Dio e di pace, non campi di battaglia

Attacchi a sinagoghe, chiese e moschee. In Israele e altrove

Un nuovo conflitto tra Israele e palestinesi, iniziato con i disordini sulla Spianata del Tempio a Gerusalemme, davanti alle moschee di al Aqsa e della Cupola della Roccia? Inaccettabile davvero. I luoghi santi e tutti i luoghi sacri dedicati alla preghiera: che si tratti di sinagoghe, chiese e moschee devono essere risparmiati dal conflitto, sempre. Troppe volte negli ultimi decenni abbiamo tristemente assistito a ripetuti attacchi contro le sinagoghe, anche in Europa, alla devastazione dei cimiteri ebraici, così come delle chiese in Iraq e in Africa per mano di jihadisti e, insieme, alla distruzione delle moschee, come a Sarajevo durante la guerra o ancora in Iraq o in India. In ogni parte del mondo attacchi terroristici hanno ferito i luoghi dove gli uomini e le donne pregano. Sono luoghi dove si cerca, nel profondo, una via di pace e di consolazione in un mondo in cui le manipolazioni della religione sono ormai quotidiane. La ripresa violenta dello scontro tra Gaza e Israele, in una incertezza politica che rende più fragile la coabitazione, rischia di incendiare anche altre aree dell'area che, fino a oggi, erano rimaste tranquille anche nei momenti di scontro più duri. Purtroppo colpisce anche i luoghi religiosi che normalmente non erano mai stati coinvolti come la sinagoga di Lod, attaccata e data alle fiamme ieri. Questo va rifiutato a tutti i costi: non si può calpestare il sentimento religioso dei popoli, per un conflitto che — lo sappiamo ormai bene.

Da decenni — è tutto politico. I sentimenti religiosi possono essere una riserva di speranza, oltre la politica. Le persone e i popoli infatti non sono fatti soltanto di bisogni e interessi materiali, né sono tenuti assieme solo da collanti ideologici o patriottici o da passioni politiche: sono anche abitati da profondi e comuni sentimenti religiosi che si radicano in secoli — talvolta millenni — di fede e di cultura. Il sostegno a una causa, come quella palestinese in questo caso, non può diventare la demonizzazione d'Israele e degli ebrei. È un corto circuito che si ripete da anni con conseguenze tragiche. È chiaro come per l'ebraismo l'esistenza di Israele sia un fatto decisivo, ma a partire da questo non si possono coinvolgere tutti gli ebrei nelle scelte politiche quotidiane di un governo. L'esistenza di Israele è importante non solo per gli ebrei, ma anche per il mondo. Nel mondo arabo, dopo la Seconda guerra mondiale, si è assistito alla scomparsa della presenza ebraica, che aveva realizzato una simbiosi con la cultura arabo islamica dal Marocco dei santi comuni, all'Egitto degli antichissimi insediamenti ebraici, anche se non sono mancate nel tempo tensioni ed espressioni anti-israelite. La fine della simbiosi ebraico musulmana è stato uno sconvolgimento culturale di non poco conto, come ora è l'emigrazione cristiana e arabo cristiana verso l'Occidente dagli Stati musulmani. Su di un antico strato, l'antisemitismo di marca occidentale, l'opposizione a Israele e la questione palestinese, provocano una miscela forte di odio. Nel Documento sulla Fratellanza Umana firmato da papa Francesco e dal grande iman al Tayyeb è scritto: «La protezione dei luoghi di culto (...) è un dovere garantito dalle religioni, dai valori umani, dalle leggi e dalle convenzioni internazionali. Ogni tentativo di attaccare i luoghi di culto o di minacciarli (...) è una deviazione dagli insegnamenti delle religioni». Un mondo senza sinagoghe, chiese e moschee non sarebbe un mondo migliore ma più arido e con meno speranza. È ora di smetterla di coinvolgere nei conflitti i luoghi religiosi e della preghiera perché sia preservata l'anima di umanità e di pace che rappresentano. La coabitazione, il vivere insieme, non è solo qualcosa da sopportare come una fatalità: è anche il pegno di una società più democratica.

Le tentazioni omologanti sono pericolose per ogni società: la ricerca del nemico abbaglia e si finisce per dividersi all'infinito. Oggi l'opzione necessaria è favorire il dialogo a tutti i livelli, anche interreligioso, per evitare il radicalizzarsi dei contrasti tra le persone e tra i popoli. È ciò che auspichiamo avvenga per israeliani e palestinesi. Dopo tante sofferenze, dopo i morti di questi giorni, siamo sempre più convinti che un conflitto che, attraverso varie fasi, dura dal 1948, debba approdare allo stabilimento della pace. Utopico? Forse, ma sempre più necessario.
 


[ Marco Impagliazzo ]