La storia di Dawood Yousefi, giovane afgano fuggito. «Anch'io ero uno di loro, adesso li assisto»

«Pochi giorni dopo la caduta di Kabul ero già a Fiumicino a distribuire vestiti e giocattoli per i miei fratelli arrivati con i corridoi umanitari»

Gli afghani che in in agosto sono arrivati in Italia con i ponti aerei hanno trovato ad accoglierli uno di loro. Un afghano che quasi venti anni fa lasciò il Paese per arrivare in Italia (ma non in aereo) e che oggi dedica il suo tempo all'accoglienza lavorando con la Comunità di Sant'Egidio Dawood Yousefi è afghano della minoranza hazara. «Siamo musulmani sciiti, una minoranza pacifica e colta, e siamo stati sempre perseguitati. La prima volta con un genocidio nel 1890, quando venne eliminato il 62% del nostro popolo. Poi nel 1996 e ancora dal 2000 in poi con le discriminazioni da parte dei talebani e gli attentati terroristici nei mercati, nelle moschee e in strada. Anche in queste settimane dall'Afghanistan non arrivano buone notizie per la nostra minoranza».
Dawood Yousefi è originario di Daykundi, una provincia nel cuore dell`Afghanistan a maggioranza hazara, dove è nato nel 1987. «In Afghanistan», racconta, «studiavo, la
voravo in una bottega di falegname e facevo il volontario per la Croce Rossa, ma non ne potevo più della guerra. Ero nato in un Paese in guerra, non volevo uccidere nessuno e neppure essere ucciso. Così insieme a quattro amici abbiamo deciso di partire. I trafficanti di uomini ci hanno chiesto un cifra enorme, 12mila dollari, ma grazie all'aiuto di un mio zio in Australia siamo riusciti a raccoglierli».
Per Dawood comincia un'odissea di undici mesi. «Prima abbiamo raggiunto Kabul, poi la frontiera con l'Iran, da li siamo passati un Turchia, ma siamo rimasti bloccati due mesi sulle montagne. Da Van abbiamo raggiunto Istanbul, poi l'isola di Leros, Atene, Patrasso, Bari e infine Roma. Abbiamo viaggiato a piedi, sopra i camion e nascosti sotto i camion, abbiamo attraversato l'Egeo in gommone. A Roma insieme ad altri ragazzi afghani abbiamo bivaccato a piazzale dei Partigiani, vicino alla Stazione Ostinense, e li sono entrato in contatto con la Comunità di Sant'Egidio
, che mandava i suoi volontari a darci un aiuto».
In Italia Dawood è diventato maggiorenne, ha studiato. Oggi insegna in una scuola elementare per bambini disabili, fa il mediatore culturale e l'interprete. Ha anche recitato in un film di Costanza Quatriglio, Sembra mio figlio, dedicato alla storia di un bambino fuggito dall'Afghanistan.
«Ogni estate passo quaranta giorni nel campo di Moria, sull'isola di Lesbo, per aiutare i rifugiati». Dawood era a Lesbo anche il 15 agosto, quando Kabul è caduta in mano ai Talebani. «Pochi giorni dopo ero a Fiumicino per dare vestiti, merendine e giocattoli ai bambini arrivati dall'Afghanistan. Persone che in poche ore hanno dovuto lasciare tutto per salvarsi. Li guardavo negli occhi ed è stato come rivivere la mia esperienza».
I genitori, una sorella e un fratello di Dawood sono riusciti a lasciare Herat il 17 agosto e ora sono in Iran da parenti e conoscenti. «Ora è difficile uscire dall'Afghanistan», dice Dawood, «ma la gente è disperata e tenterà comunque di viaggiare inutilmente, rischiando magari anche la vita. Però la rischierà una sola volta, non tutti i giorni vivendo sotto i Talebani. L'Afghanistan è un posto sbagliato. Lì nessuno nasce per vivere, ma solo per sopravvivere».

 


[ Roberto Zichittella ]