Segno di speranza nella paralisi delle coscienze

L'intervento
L'autrice è volontaria di Sant'Egidio Liguria

"Sono qui per vedere i vostri volti, per guardarvi negli occhi. Occhi carichi di paura e di attesa, occhi che hanno visto violenza e povertà, occhi solcati da troppe lacrime". Guardare Papa Francesco percorrere le strade del Reception and Identification Centre di Lesbo, stringendo con tenerezza le mani dei bambini, è un segno di speranza in un tempo come il nostro, un tempo di confusione e paralisi delle coscienze.
Papa Francesco è tornato a Lesbo per denunciare, con la sua voce ferma e autorevole, il dramma di chi cerca protezione tra i confini dell'Europa e trova solo freddo e filo spinato ad accoglierli. Papa Francesco è tornato per dire a ogni uomo, donna, bambino profugo che non si è dimenticato di loro. La chiesa in lui diviene un ospedale da campo: raggiunge l'umanità là dove è più sofferente e svuotata di speranza.
Questa estate anche noi - giovani della Comunità di Sant'Egidio 
- eravamo lì, a stringere quelle stesse mani. Anche noi abbiamo provato a rispondere alla fame di attenzione ed amicizia che leggevamo negli occhi di quegli stessi bambini. Non è facile toccare il suolo di Lesbo da giovani europei: si sente il peso della responsabilità di un continente che invecchia nell'egoismo e sceglie di chiudersi. Si sente addosso il peso dei muri - reali e virtuali - che l'Europa continua a costruire.
Non è facile - da giovani europei guardare negli occhi i bambini di Lesbo: bambini afghani, siriani, congolesi, somali, eritrei. Bambini nati nei campi profughi, che conoscono solo la violenza della guerra e si portano dentro ferite profonde, di cui gli adulti sembrano non accorgersi.Per due settimane siamo stati con loro, e accanto a loro abbiamo provato a guardare il mondo ed il futuro. E siamo tornati a casa con una certezza: occorre una strada. Una strada nuova, sicura, da poter percorrere insieme verso un futuro di pace.
C'è bisogno di scuola. Di abbracci. Di parole di conforto. C'è bisogno di più umanità, di più vita, tra le strade polverose di Lesbo. Perché camminando tra le tende ed i container si ha la sensazione che lì la vita venga meno, giorno dopo giorno. La vita si riduce, si spegne, in un tempo senza prospettive, senza legami e relazioni, senza speranza di cambiamento. Un tempo vuoto di vita.
Si può vivere così a 6 anni? La visita di Papa Francesco a Lesbo dà voce a tutti i profughi che ancora restano fuori dai confini del nostro continente. E mostra il volto di un'Europa materna e non matrigna, capace di farsi carico del dolore di chi chiede pace e futuro.
Forse abbiamo davvero bisogno di provare vergogna per cambiare rotta. Non un rapido senso di colpa, per poi riprendere la postura di chi vive indifferente al dolore degli altri, ma la vergogna, un sentimento profondo, che tocca il cuore e fa sentire il peso dell'ingiustizia di silenzi, scelte, parole dure, politiche paurose. Noi vogliamo ripartire dai bambini, lavorare perché presto ci siano nuovamente corridoi umanitari. Vogliamo raccogliere l'appello che il Papa ha lanciato con forza dalla periferia dell'Europa.


[ Marta Olla ]