Il Natale dopo la rinascita

Antonino e Michele erano due persone senza tetto ma l'incontro con la Comunità di Sant`Egidío li ha salvati. E ora portano il loro contributo per aiutare altri poveri

Se la pandemia lo permetterà, quest'anno si tornerà a fare il tradizionale pranzo di Natale, insieme. E anche la comunità di Sant'Egidio, il movimento internazionale di laici che si fonda su preghiera, poveri e pace, ha rilanciato la sua storica campagna di solidarietà "Aggiungi un posto a tavola" (che nel 2020 era stata organizzata in forma ridotta a causa del lockdown) per permettere di invitare a pranzo, in diversi luoghi di oltre 30 città italiane, gli amici meno fortunati, i poveri, insomma quelli che un pranzo di Natale non lo metterebbero insieme perché vivono sulla strada o in condizioni socio-economiche molto precarie.
Sant'Egidio 
li invita a pranzo dal 1982. Sono loro i protagonisti del 25 dicembre, serviti, rifocillati e coccolati, che se ne vanno con un pacco dono da scartare. Con la pandemia i casi di povertà sono aumentati e le persone da raggiungere sono molte di più, anche a Natale.
Dietro al Natale di festa con la Comunità di Sant'Egidio 
ci sono storie di sofferenza e marginalità, tanta solitudine e povertà. Ma alcuni riescono a cogliere una possibilità di riscatto e poi tornano alle mense come volontari, offrono il loro contributo o si riaffacciano a salutare "gli amici".
«La prima volta che sono venuto a pranzo per il Natale a Sant
a Maria in Trastevere è stato tanti anni fa», racconta Antonino, 65 anni, siciliano. «L'incontro con queste persone mi ha cambiato la vita. Quest'anno sono io a fare regali ai poveri», a stare tra i "volontari", a servire il pranzo o a incartare i regali. «E che differenza c'è?», scherza con il suo accento siciliano, «noi di Sant'Egidio diciamo che chi aiuta si confonde con chi è aiutato, e così in qualche modo restituisco un po' del calore ricevuto quando stavo al freddo. Sono momenti che non si dimenticano».
Michele invece, 68 anni, calabrese, è arrivato a Genova tre anni fa dopo 45 anni vissuti a Verona, dove lavorava nei campi come agricoltore e guardiano. Per anni ha abitato dentro i capanni nei campi o in roulotte. Quando è cambiata la proprietà del terreno lo hanno mandano via ed è finito in strada a Genova. Qui ha vissuto nei giardini davanti alla stazione Brignole, con altri senzatetto, nonostante un'ernia che gli impediva di muoversi. I volontari lo hanno incontrato durante il lockdown e sono rimasti colpiti dalla sua cultura e dalla sua sensibilità: tutti i giorni riesce a procurarsi il Secolo XIX e legge molti romanzi. È un finissimo conversatore, attento e simpatico.
Chiara, una volontaria, inizia a passare a trovarlo di mattina portandogli il giornale, Irene gli presta dei libri e intreccia una corrispondenza epistolare molto affettuosa. «L'incontro con queste persone mi ha cambiato la vita», racconta oggi Michele. «Grazie a loro mi sono operato e adesso sto bene, poi mi hanno fatto avere i documenti, una residenza in un appartamento con altre persone, in via Balbi (dove la comunità ha degli appartamenti), e poi da marzo ho il Reddito di cittadinanza e posso vivere diversamente. Non ho bisogno di tanti soldi, li uso per comprare libri e poche cose da mangiare, ormai sono abituato a essere molto parsimonioso, così ho deciso di donare alla comunità una parte di quello che mi arriva, per chi ha più bisogno di me. E farò dei regali per il pranzo di Natale a cui quest'anno parteciperò per la seconda volta».
Michele, seguito dalla Comunità di Sant'Egidio 
di Genova, oggi vive a Teriasca, nell'entroterra, in una piccola casa in campagna, che è stata messa a disposizione da un anziano. Tutte le domeniche prende il treno per Genova «per andare a trovare gli amici», ossia Chiara, Irene, Alessandro, Momo (un volontario vedovo recentemente ordinato sacerdote) e tutti gli altri. 


[ Geraldine Schwarz ]