Aiutare l'Ucraina senza dimenticare i naufragi nel Mediterraneo

"La guerra in Ucraina non deve farci voltare dall'altra parte e ignorare i troppi naufragi nel Mediterraneo o le poche centinaia di persone al confine tra Polonia e Bielorussia, anche loro bisognose di accoglienza". A dirlo è Marco Impagliazzo, dal 2003 presidente della Comunità di Sant'Egidio.
Sant'Egidio
 è una comunità cristiana nata all'indomani del Concilio Vaticano II nel 1968, in un liceo del centro di Roma per iniziativa di Andrea Riccardi. Con gli anni è divenuta una rete di comunità che, in più di 70 paesi del mondo, con una particolare attenzione alle periferie, e ai periferici, raccoglie uomini e donne di ogni età e condizione, uniti da un legame di fraternità nell'ascolto del Vangelo e nell'impegno volontario e gratuito per i poveri e per la pace. Preghiera, poveri e pace i suoi riferimenti fondamentali.
La straordinaria e generosa mobilitazione di tanti italiani per aiutare, sostenere, donare, accogliere sta permettendo un intervento efficace e rapido in Ucraina. Nello specifico, la Comunità si occupa: dell'invio di aiuti umanitari di cui ha estremo bisogno chi è rimasto in Ucraina; degli aiuti a Leopoli; del sostegno ai profughi alle frontiere di Slovacchia, Polonia e Ungheria; dell'organizzazione di una rete di accoglienza in Europa, grazie alle tante offerte di ospitalità. La Comunità ha anche promosso una petizione che chiede di giungere a un immediato cessate il fuoco e di proclamare con urgenza Kiev "città aperta".
Marco Impagliazzo è professore ordinario di Storia contemporanea all'Università per Stranieri di Perugia, di cui è presidente del Consiglio di amministrazione dal marzo 2014. Dal 2009 è Consultore del Pontificio Consiglio della Cultura, riconfermato per un quinquennio nel gennaio 2016. Dal 2012 è Consultore del Pontificio Consiglio per la pastorale dei Migranti e gli Itineranti. Autore di numerosi articoli di carattere storico e religioso, si dedica inoltre allo studio delle questioni relative all'immigrazione e all'integrazione.
Professore, questa guerra la preoccupa e perché?
«Mi preoccupa tantissimo perché per la prima volta dal 1945 vede coinvolta direttamente una potenza nucleare, un fatto totalmente inedito. Se ne sono misurate subito le amare conseguenze: tante atrocità e milioni di sfollati interni e di rifugiati nei Paesi confinanti. C'é un'escalation di violenze e l'unica cosa, come dice il Papa, è fermare il prima possibile la guerra, che vuol dire sempre distruzione e morte».
Il Papa ha detto di recente: "Non impariamo, siamo innamorati delle guerre e dello spirito di Caino".
«Il Papa ha espresso una condanna inequivocabile della guerra. Lo ha fatto con gesti inediti, come quello di far visita all'ambasciatore russo presso la Sant
a Sede nei primi giorni della guerra per inviare un messaggio chiaro a Putin, ma ha anche manifestato la sua viva partecipazione alla sofferenza degli ucraini, come quando ha invitato a Santa Marta tre famiglie di rifugiati ospiti a Roma della Comunità di Sant'Egidio. "Prego tanto per l'Ucraina e penso sempre a voi" ha detto abbracciando una donna di Kiev, madre di tre figli. E soprattutto l'Atto di consacrazione al cuore immacolato di Maria del 25 marzo scorso, per implorare la pace, che ha coinvolto tutte le diocesi del mondo. Si vede, almeno in Italia, grande simpatia e accoglienza per gli ucraini, segno che la società intende rispondere alla guerra non con le armi, ma con la solidarietà. La politica dovrebbe tenerne conto».
I drammatici fatti di Bucha metteranno un punto fermo sulle responsabilità di questa guerra o faranno progredire le fake news?
«Bucha è stata subito paragonata a Srebrenica e ad altre località teatro di eccidi di guerra. Sono fatti drammatici e terribili che devono far riflettere sulle tragiche conseguenze della guerra, di ogni guerra. Bisogna pure ricordare che la maggior parte delle vittime delle guerre sono i civili e, tra questi, anche donne e bambini innocenti. Poi certo c'è la macchina della propaganda che è al lavoro e produce un flusso ininterrotto di fake news per influenzare l'opinione pubblica».
Dall'attuale "escalation verbale" è possibile arrivare a una escalation sul campo e dunque a un allargamento del conflitto?
«Prima Putin, per giustificare l'operazione speciale` e poi Zelensky, per spingere la Nato a un coinvolgimento diretto nel conflitto, hanno usato a sproposito la parola "genocidio". Da storico vorrei dire che questa parola riguarda casi specifici e si differenzia dalle stragi sui civili. Sarei più prudente nell'usarla».
Cosa sta facendo la Comunità per l'Ucraina?
«Una grande azione umanitaria. Crediamo che la solidarietà sia già una risposta alla guerra. Anzitutto in Ucraina, dove Sant'Egidio
 è presente dal 1991. A Kiev le persone della Comunità continuano ad aiutare anziani e senza dimora, ma anche a Leopoli e Ivano Frankivsk abbiamo aperto centri di accoglienza per sostenere gli sfollati interni. Abbiamo inviato i tanti aiuti raccolti in Italia e le nostre comunità li hanno distribuiti in ospedali, istituti e centri per l'infanzia anche in città dove non siamo presenti: a Bucha, Chernihiv, Cherson, Dnipro, Kharkiv, Poltava, Stryj, Sumy. Ma Sant'Egidio è attivo anche alla frontiera slovacca, in Ungheria e in Polonia, dove decine di famiglie di rifugiati sono ospitate in casa, si distribuiscono generi di prima necessità e si promuovono attività educative per i bambini nelle Scuole della Pace».
Sono milioni i profughi nel mondo e ancora troppe le emergenze umanitarie anche alle porte d'Italia. La guerra in Ucraina sta facendo dimenticare tutto il resto?
«Indubbiamente c'è una giusta concentrazione da parte dell'opinione pubblica sull'Ucraina. Ora però non dobbiamo voltarci dall'altra parte e ignorare i troppi naufragi nel Mediterraneo o le poche centinaia di persone intrappolate al confine tra Polonia e Bielorussia, anche loro bisognose di accoglienza». 

 


[ Milena Castigli ]