Provare ad ascoltare le loro storie

Dossier - 56a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali
Molti vedono l`emigrazione come una "invasione", per paura ma anche per una pigrizia interiore

Papa Francesco, nel messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali, ha toccato un tema che oggi è di grandissima attualità in Italia, in Europa e nel mondo. Siamo in un tempo di migrazioni forzate. A lungo si è negato che quanti raggiungono l'Europa siano spinti da una situazione di grave bisogno o di drammatica necessità. Non si lascia la propria terra e la propria casa per niente. Invece è stata compiuta un'operazione difensiva, guardando questa gente da lontano e sentendoli stranieri: sì, estranei, perché africani, di altra religione, con altre abitudini rispetto alle nostre...
Tanti anni fa, lo storico francese delle relazioni internazionali, Jean-Baptiste Duroselle, parlò della percezione dell'emigrazione come di un'invasione". Questo è l'archetipo che giace nella mentalità di molti. Per paura, ma anche per pigrizia interiore. Francesco ci invita a "provare ad ascoltare le loro storie". Non sono una massa indistinta, ma donne e uomini, bambini e anziani, provati da situazioni difficilissime, da lunghi viaggi rischiosi. Ma per il comune cittadino non è sempre facile cogliere questo con partecipazione.
Vede immagini alla Tv; guarda gli sbarchi sulle coste; sa di problemi creatisi con un non italiano. Ne trae giudizi sommari che rafforzano il senso di estraneità. Qui c'è il ruolo decisivo degli operatori delle comunicazioni sociali. Qui, il significato dell'appello del Papa: «Dare un nome e una storia a ciascuno di loro».
Proprio in questo momento, con l'invasione russa in Ucraina e una guerra aperta, valutiamo l'importanza strategica dei giornalisti. Dobbiamo al coraggio di alcuni di loro informazioni e immagini preziose su aspetti inediti di questa guerra. Le vicende ucraine parlano a tutti noi, entrano nelle nostre case, ci inquietano e ci fanno pensare. Lo dobbiamo a questi coraggiosi giornalisti, che non si accontentano della propaganda di guerra o del lavoro sulle notizie di agenzia: fanno parlare la gente e toccano le situazioni più difficili. Se non ci fossero loro, oggi sarebbe caduto il silenzio sulla guerra in Ucraina, com'è avvenuto su quella in Siria, di cui si sa sempre troppo poco.
Si capisce quanto sia giusto che il Papa, ogni anno, si rivolga al mondo delle comunicazioni: il suo ruolo è strategico per accrescere la libertà e per tenere aperti i nostri occhi. La donna e l'uomo globali possono vedere e sapere molto riguardo alla vita del mondo, ma hanno bisogno di una chiave per orientarsi nella massa di notizie e di immagini. Se disorientati, divengono indifferenti.
Francesco suggerisce una chiave: l'incontro con la storia delle persone su un tema così complesso, come quello delle "migrazioni forzate". Non c'è una massa uniforme, invadente e minacciosa. Lo ripeto: ci sono persone, che hanno tanto sofferto! L'invito è semplice, ma basilare: «Ascoltiamo queste storie! 
Ognuno poi sarà libero di sostenere le politiche migratorie che riterrà più adeguate al proprio Paese! Ma avremo davanti agli occhi, in ogni caso, non dei numeri, non dei pericolosi invasori, ma volti e storie di persone concrete, sguardi, attese, sofferenze di uomini e donne da ascoltare».
Questo aiuta a capire le situazioni da cui provengono e, d'altra parte, a sentire che sono persone come noi: mamme preoccupate per i propri figli, uomini alla ricerca d'integrazione e lavoro, bambini che aspirano a una vita serena come i nostri piccoli... tutta gente che vuole pace e non minaccia guerra, anzi la fugge.
Non sono bei pensieri astratti. Non sono nemmeno le esortazioni tipiche del Papa, cui taluni rimproverano di occuparsi degli stranieri più che degli italiani. Francesco si occupa di tutti e, in particolare, di quelli in difficoltà. È la Chiesa di cui parlò Giovanni XXIII alla vigilia del Vaticano II, che resta la stella polare del cammino dei cristiani anche nel nostro secolo: Chiesa di tutti e particolarmente dei poveri.
Inoltre, alzare i propri occhi, guardare i volti e ascoltare le storie di altri che vengono da terre di dolore, fa bene a loro nell'accoglienza, ma fa bene anche a noi. C'è una voglia di apertura e di accoglienza nella nostra società. Lo abbiamo constatato con la terribile guerra in Ucraina.
Gli italiani sono interessati alle vicende del conflitto, cercano di capire, offrono loro aiuto. Non era accaduto così in altre situazioni di guerra. Eppure, Mario
 Marazziti, nel suo libro, Porte aperte. Viaggio nell'Italia che non ha paura (Piemme), aveva mostrato come ci fossero non poche famiglie e comunità disponibili in Italia ad accogliere i rifugiati siriani, giunti con i "corridoi umanitari" della Comunità di Sant'Egidio, delle Chiese evangeliche e della Cei.
Ci troviamo di fronte a una rinnovata sensibilità di fronte ai rifugiati ucraini, che è un segnale significativo. Molti spiegano tale atteggiamento (anche a ragione) col fatto che gli italiani s'identificano con gli ucraini, che sono europei. Molte ucraine sono nelle nostre case, come badanti e colf, guadagnandosi la fiducia delle famiglie con il loro lavoro. Tuttavia l'Ucraina è anche lontana e non solo geograficamente. Paradossalmente Damasco è più vicina a Roma (2.283 km di distanza), di quanto non lo sia Kiev (2.439 km). Certo lo choc dell'invasione ci ha ridestato alla responsabilità. Ma c`è qualcosa di più.
Sulla crisi ucraina non sono stati solo descritti scenari geopolitici, ma i comunicatori hanno narrato storie di donne e uomini ucraini. Hanno parlato i testimoni dei bombardamenti. Sono state intervistate donne che lasciavano il Paese con i figli. Sono state ricostruite vicende di ucraini alle prese con l'invasione e con la resistenza. Insomma, gli ucraini e le ucraine hanno acquistato un nome. Tanti volti hanno rappresentato, nel mondo della comunicazione, la dolorosa vicenda del Paese. Per altri Paesi ci si è limitati a scarne notizie politiche, a qualche immagine magari drammatica, a qualche ricostruzione di scenario. Invece, per la bravura e il coraggio di tanti giornalisti, gli ucraini parlano ai nostri media.
Questo approccio diretto mostra quanto il messaggio di Francesco abbia colto nel segno. Così si vincono i pregiudizi sui migranti, provando ad ascoltare le loro storie. Si inizia un dialogo con loro, si entra nelle loro ragioni e motivazioni. In questo mondo globale, in cui donne e uomini differenti s'incrociano, c'è il problema di capire l'altro, mettendosi nella sua "testa", conoscendo la sua storia. Questa è un'opera che possono fare tutti, cui i comunicatori danno un contributo decisivo. Infatti, l'informazione globale è affollata di notizie, ma bisogna far parlare e ascoltare le donne e gli uomini, spesso umili protagonisti di vicende grandi e dolorose. 


[ Andrea Riccardi ]