La ricerca social di Olya per salvare i dializzati

La ricerca social di Olya per salvare i dializzati

I soccorsi di Olya, l'angelo dei dializzati scovati via social. La rete di una 32enne con la Comunità di Sant'Egidio. Già centosei i malati cronici intercettati e tratti in salvo. L'assistenza nel viaggio, cure e sistemazione in Italia

La malattia aggiunge gradi di vulnerabilità a chi vive sotto la minaccia della guerra in un modo difficile da immaginare lontano dalle bombe. Una condizione che condividono circa diecimila dializzati cronici che si stima oggi siano in Ucraina, condannati a una morte lenta e dolorosa se privati delle cure. Il coraggioso, artigianale e ramificato progetto avviato dalla trentaduenne Olya Makar con la Comunità di Sant'Egidio tende loro una mano e conta già centosei persone tratte in salvo in Italia.
«Non sapevo niente di dialisi prima di cominciare», racconta Olya, riparata a Varsavia lo scorso 5 marzo con i suoi due gemelli e i suoceri, dopo aver lasciato Kiev dove si occupava di senzatetto e bambini per l'associazione cattolica romana. Prosegue: «L'idea è nata casualmente: un medico di Kharkiv ha chiesto aiuto a un collega italiano e Sant'Egidio si è attivata per costruire una rete di soccorso che ora aiuta le persone ad affrontare il viaggio fino alla frontiera, poi trova loro una sistemazione in Italia».

Il passaparola
Genova, Padova, Novara, Roma sono alcune delle città dove i dializzati cronici hanno trovato cure, alloggio e assistenza. Tutti i giorni Olya usa i social come metal detector a caccia di persone per le quali ogni ora che passa senza cura, è un pezzo di vita che se ne va. «Abbiamo cominciato dagli ospedali - racconta mentre aggiorna i profili di Telegram, Facebook, Viber, Signal, Whatsapp e Instagram - poi contattando direttamente le comunità nei centri minori e avviando un passaparola. Oggi siamo un punto di riferimento».
Partiti da Kiev, Kremenchuk, Poltava, Chernihiv, Odessa o da piccoli villaggi, queste persone hanno affrontato viaggi di fortuna, trovando alle frontiere punti per la dialisi allestiti dalla Comunità. «Come Vladimir, 64 anni, che porta un nome oggi molto controverso - sorride Olya, il cui tono di voce tradisce energia e ottimismo - e il suo viaggio è cominciato dalla regione del Donetsk nel 2014 con la moglie. Scappati da quella guerra fino a Hostomel, vicino a Bucha, vivevano in una casa sulla strada dell'aeroporto. Dopo le bombe russe di marzo si sono rifugiati in un seminterrato. Sedici giorni senza riscaldamento né luce. Quando hanno saputo di corridoi aperti sono usciti, ma bisognava camminare per dieci chilometri e Vladimir, dopo il primo, ha capito che non ce l'avrebbe fatta. Sua moglie ha lottato con le unghie per trovargli un passaggio, sono arrivati a Leopoli separati. Lì ha fatto la prima dialisi. Poteva morire, oggi è a Novara. Stamattina mi ha risposto al telefono con un: buongiorno, signora!».

Over cinquanta

I dializzati sono tutti diversi, ma quelli coinvolti nel progetto sono soprattutto over cinquanta. Molti non hanno mai viaggiato prima e il grande lavoro di Olya è convincerli a partire. «Cosa si può fare per loro? Oltre a donare a Sant'Egidio che gestisce i fondi in iniziative molto concrete, basterebbe andare ad incontrarli negli ospedali e dare loro un sorriso, una parola buona per farli sentire accolti. Tutti vogliono tornare a casa, ma in Ucraina oggi si vive nell'incertezza totale. Un «lusso» fuori portata per un malato cronico.


[ Federica Manzitti ]