«La pace necessaria», Verona protagonista per lanciare l'appello

Gran Guardia piena per l'incontro che ha unito i rappresentanti di diverse realtà
Dalla comunità di Sant'Egidio alla Cgil, dalla Chiesa al volontariato «Si fermi il conflitto in Ucraina, è in gioco anche il futuro dell'Europa»

Il rifiuto della pace ha una conseguenza sola e l'ha fotografata ieri sera, senza giri di parole, Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio: «Senza un accordo, senza un cessate il fuoco, senza una pace in Ucraina non ci sarà nemmeno una pace in Europa».
L'incontro organizzato da Europe for peace, in una Gran Guardia completamente esaurita, ha messo intorno al tavolo il sindaco Damiano Tommasi, il vescovo Domenico Pompili, il segretario della Cgil Maurizio Landini, il presidente di Emergency Rossella Miccio e la portavoce del Forum terzo settore Vanessa Pallucchi. «Vedo indifferenza», ha aggiunto Riccardi parlando del conflitto in atto, «e mentre si discute sull'invio di armi c'è un abbassamento dell'aiuto umanitario proprio in inverno quando la situazione si fa più drammatica. La scelta, allora, sembra quella di una guerra che continua fino alla vittoria o alla sconfitta. E questa è una follia perché oggi le guerre diventano eterne e si trasformano in cancri che divorano i popoli. Noi qui», ha proseguito il fondatore di Sant'Egidio, «abbiamo vissuto in un'isola felice per tanti decenni, ma sempre circondati dal quel male. Si guardi in Siria. Abbiamo ignorato quel conflitto, ma tanto dello scontro in Ucraina si spiega con le prove generali fatte in Siria. E noi ci siamo girati dall'altra parte. Qual è il futuro in Ucraina? Delle persone che sono scappate? Possiamo accettare che un popolo venga scarnificato in questo modo? Da queste risposte capiamo la necessità assoluta di pace».
Verona quindi è stata al centro di un percorso di pace che ha unito, in tante manifestazioni, il nostro Natale con quello ortodosso. Una città, come ha spiegato Tommasi, con una sensibilità forte sul tema, che ha tracciato un solco storico profondo. Ma è la situazione alle porte dell'Europa ad aver aperto anche altri squarci, altre visioni rimaste (forse) sotto troppa polvere: «Nel nostro Dna», le parole sono di Miccio, presidente di Emergency, «c'è un no forte alla guerra, perché l'abbiamo guardata in faccia e abbiamo sentito l'odore del sangue. L'Ucraina ci ha fatto vedere che ci sono guerre di serie A, B e C, così come per i profughi. Ma, aggiungo, non si è mai visto un conflitto che si risolve inviando più armi, serve invece una conferenza di pace immediata».
Al tavolo anche il vescovo Pompili che ha riacceso, pure lui, un faro sulla Siria: «Oggi parlavo con il nostro nunzio apostolico, il cardinale Mario Zenari, e mi diceva che di quel posto ci siamo dimenticati, come se ci fossimo abituati a quello che accade. Bisogna prendere le distanze dallo scontro delle civiltà, stare lontani dai pensatori che iniettano veleno e dalla religione del denaro». E stata proprio la corsa agli armamenti uno dei punti focali del dibattito sin dall'apertura quando, a sorpresa, è stato chiamato sul palco il fisico veronese Carlo Rovelli, promotore del dividendo di pace che ha trovato l'appoggio di cinquanta premi Nobel in tutto il mondo. Iniziativa rilanciata anche ieri: «Si chiede di negoziare il due per cento, per cinque anni, delle spese militari. Questo libererebbe un trilione di dollari per affrontare i grandi problemi dell'umanità». Sulla stessa linea anche Landini: «La corsa agli armamenti non vuol dire solo spendere male i soldi, ma oggi quelli nucleari mettono a rischio il pianeta. Se scappa di mano la situazione non c'è un secondo tempo. Per questo la discussione non può stare in mano a qualche capo di Stato, ma deve tornare a tutti quanti. Anche perché la guerra sta peggiorando tutto: l'inflazione, le bollette, le disuguaglianze sono il suo frutto».
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[ Nicolò Vincenzi ]