La rotta marittima è scelta perlopiù da famiglie

La rotta marittima è scelta perlopiù da famiglie

Quella di terra è troppo faticosa per i bambini, spiega Daniela Pompei della Comunità di San t'Egidio

È il «dramma» di chi fugge da guerre, violenze, instabilità, violazioni dei diritti umani, conseguenze catastrofiche dei cambiamenti climatici. «A scegliere i viaggi in mare sono principalmente i nuclei familiari», per «avventurarsi in traversate gestite da trafficanti di uomini», nella speranza «di una vita migliore, soprattutto per i più piccoli». Daniela Pompei è la responsabile della Comunità di Sant'Egidio per i servizi ai migranti, promotrice e coordinatrice del programma sui corridoi umanitari. Ben conosce la rotta migratoria dalla Turchia: il barcone affondato nelle acque calabresi era partito da Smirne. Da quell'area, secondo l'Onu, proviene circa il 20 per cento degli arrivi in Italia.
I trafficanti turchi utilizzano barconi in legno di più grandi dimensioni rispetto a quelli che partono da Libia e Tunisia, ma anche barche a vela. Il viaggio è infatti più lungo, con un migliaio di chilometri da percorrere. «C'è la cosiddetta rotta balcanica, che parte da lì», spiega Daniela Pompei. «Smirne — ricorda — non è lontana dall'isola greca di Lesbo, praticamente a un'ora e mezzo. È una via molto pericolosa, perché chi arriva in Grecia poi riparte attraverso la Bulgaria, per passare in Serbia o Bosnia e chi riesce entra in Italia dalla zona di Trieste».
Le persone che hanno tentato di arrivare a Crotone, osserva, hanno però «cercato altre vie: quella balcanica è una rotta che costringe ad andare molto a piedi, è pericolosa, i bambini non ce la fanno. Quando siamo andati in Bosnia, i migranti ci hanno raccontato di aver fatto chilometri e chilometri. È una rotta che intraprendono perlopiù i singoli, i giovani». Mentre quella marittima «viene scelta anche probabilmente per venire tutti insieme: pagano dai 2.500 ai 5.000 euro e quelle forse "più sicure", coi velieri, costano anche di più».
L'Ue ha concesso 6 miliardi di euro alla Turchia per fermare il flusso di migranti in arrivo in Europa via terra, dai Balcani. Ma una parte di quelle persone tenta la traversata via mare. «La Turchia — ricorda la responsabile della Comunità di Sant'Egidio per i servizi ai migranti — da tantissimi anni accoglie afghani e siriani, persone che magari lavorano lì tre, quattro anni, mettono i soldi da parte» e poi cercano di andare altrove. Non è una rotta nuova, fa notare: «C'è sempre stata, ricordo negli anni Novanta quando arrivavano i curdi, ma non aveva numeri consistenti. Negli ultimi anni, in particolare nell'ultimo, le cifre sono aumentate, anche dopo la pandemia».
Ad aggravare il quadro, rimane l'incognita su come il devastante terremoto del 6 febbraio, che ha colpito Turchia e Siria, possa incidere sulle partenze dei migranti. «Magari non nell'immediato, ma in prospettiva forse qualcosa ci sarà, perché ad esempio i profughi siriani sono tutti nella zona colpita dal sisma, al confine tra i due Paesi».
Subito dopo la tragedia di Crotone e proprio di fronte alla morte di intere famiglie con bambini e persone fragili, la Comunità di Sant'Egidio — evidenzia Daniela Pompei — ha esortato a «incentivare il salvataggio di chi è in pericolo nel Mediterraneo e ad accogliere, come ha invitato a fare Papa Francesco». Al tempo stesso, ha invocato l'attivazione di «programmi di reinsediamento europei», chiedendo di «incrementare le quote dei decreti flussi insieme a nuove vie di ingresso regolare», sulla base di «modelli che funzionano perché favoriscono l'integrazione, come i corridoi umanitari». E, sottolinea Daniela Pompei, ha domandato all'Europa una maggiore cooperazione, attivando un «piano speciale» di aiuti e di sviluppo per i Paesi di provenienza dei migranti.


[ Giada Aquilino ]