«Le vie della pace vanno riaperte»

«Le vie della pace vanno riaperte»

Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio: «A Parigi sulla scena principale vogliamo mettere la sofferenza e il grido dei popoli in guerra. Siamo certi e decisi, ci sono strade che porteranno a soluzioni»
Vanno a Parigi ad «immagine la pace» mentre a Bruxelles l'Unione Europea continua ad immagine solo la guerra. La critica del professor Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio, a Ursula von der Layen alla vigilia dell'incontro nella capitale francese che ripropone lo «Spirito di Assisi», non è affatto velata: «Siamo molto preoccupati del fatto che sia stato istituto un inedito commissario europeo alla difesa nel governo dell'Unione. Con questa scelta l'Europa ha perso e sta perdendo ogni giorno uno dei pilastri fondamentali sui quali l'Unione è nata dopo la Seconda Guerra Mondiate. L'Europa deve rafforzarsi su processi di pace, mettendo da parte processi e scelte che possano rafforzare conflitti. Insistere sulla difesa va in questa direzione. E noi non ci stiamo. Per questo motivo il messaggio che lanceremo da Parigi all'Europa, alle sue istituzioni di governo e alla nuova Commissione sarà molto forte e preciso».
Professor Impagliazzo, anche Mario Draghi ha sostenuto la necessità di rafforzare il ruolo dell'industria della difesa nelle economie del vecchio continente...
«È una sollecitazione che rafforza la nostra preoccupazione. L'investimento continuo e univoco sugli armamenti non permette di immaginare la pace, anzi va nella direzione contraria. Noi stiamo con il Papa che continua a denunciare l'aumento della produzione e l'allargamento del commercio delle armi. Accumulare armi, spendere cifre da capogiro per l'industria bellica è una follia. Solo un mondo che cerca la guerra lo può fare».
Il Messaggio di Parigi invece quale sarà?
«Smettetela e cercate strade nuove, aprite vie per la pace. Ma purtroppo oggi non si vedono e sono sempre di meno gli uomini di governo nel mondo che credono alla pace. A Parigi una riflessione particolare sarà dedicata anche alla diffusione delle armi nucleari e al ripensamento che da molte parti oggi vediamo sulla politica dei trattati di non proliferazione che sono stati chiusi nei cassetti. La minaccia nucleare oggi è più presente che nel passato».
Perché bisogna immaginare la pace?
«C'è un quadro oscuro o per lo meno nebbioso oggi sulla pace. La guerra invece scintilla, la guerra è considerata la soluzione. Noi insistiamo ad immaginare invece un mondo senza guerra e lo dovrebbero fare tutte le religioni. Nella loro storia e nelle loro fedi le religioni insegnano che c'è un oltre. Le Sacre Scritture lo dicono chiaramente. In fondo l'incontro di Assisi, voluto da Karol Wojtyla nel 1986, al quale si ispirano i nostri appuntamenti, cosa fu se non il tentativo di immaginare un mondo oltre quello della guerra fredda, dello scontro e dell'inimicizia tra i popoli?».
Un sogno spezzato?
«No, un sogno che continua ad essere un desiderio per la maggioranza della popolazione del mondo. Purtroppo invece chi governa il mondo non vede altro che la guerra come soluzione dei conflitti».
Tuttavia questi anni hanno dimostrato che è assai difficile andare oltre questa logica...
«È vero, ma lo Spirito di Assisi non è sparito. Per questo motivo donne e uomini di religioni diverse, intellettuali, politici, gente comune di tutto il mondo ogni anno si trovano con noi, insieme a tanti giovani, per parlare di pace. Immaginiamo una realtà che non c'è, ma che deve essere possibile. Un'alternativa alla guerra se non la si immagina nemmeno la si troverà».
Perché a Parigi?
«Ci ha invitato la diocesi e il presidente Macron. È un grande capitale mondiale oltre che europea. Ha dimostrato durante le Olimpiadi che, nonostante non sia stata accettata la tregua olimpica, il mondo è più unito di quello che immagina. Parigi è il simbolo della cultura e dell'umanesimo mondiale».
A Parigi molti anni fa si sono svolte le trattative segrete che hanno portato alla fine della guerra in Vietnam. Parigi può essere un auspicio?
«Non andiamo a Parigi per cercare alcuna mediazione.Andiamo per pregare, per discutere e per verificare se il sogno della pace ha ancora cittadinanza, come noi crediamo. Siamo convinti che ci siano vie inesplorate per arrivare alla pace. A Parigi cercheremo di convincere tanti altri. Macron due anni fa all'incontro sulla pace a Roma osservò che la pace oggi è "impura". Noi non cerchiamo la purezza della pace, ma strade possibili convinti che sarà faticoso percorrerle e con grandi inciampi. Ma siamo certi e decisi che le strade ci sono e porteranno a soluzioni».
Oggi non sono molti coloro che propongono ragionamenti di questo tipo. Vi sentite soli?
«No, perché dalla nostra parte c'è la gente che soffre nelle periferie del mondo, quelle più colpite dalla guerra, ci sono i morti, i feriti, le distruzioni, gli sfollati, i rifugiati, la sofferenza dei bambini, degli anziani, delle donne. La Comunità vive nelle periferie in tutto il mondo e da lì, come ripete il Papa, le cose si vedono meglio. A Parigi sulla scena principale vogliamo mettere la sofferenza e il grido dei popoli in guerra. Nel mondo c'è una domanda incredibile di pace a cui qualcuno deve dare voce».
Per l'Ucraina si vede una soluzione?
«Bisogna sostenere la resistenza del popolo, ragionando insieme di speranza e di futuro. E il futuro non viene dalle armi, secondo noi, ma dalla solidarietà coerente e attiva con un popolo che soffre, per un'aggressione contrario al diritto internazionale».
E con la Russia?
«A Mosca c'è una piccola Comunità di Sant'Egidio ed è una presenza significativa anch'essa di solidarietà con il popolo russo. Un filo di dialogo e di presenza a favore della pace».
Ci sono fili di pace da sostenere?
«Uno è quello che ha tessuto il Papa con il contributo del cardinal Matteo Zuppi. Ci sono risultati sulla liberazione dei bambini e sullo scambio di prigionieri. un filo sottile e strategico per la pace. Bisogna evitare di spezzarlo».
L'altro conflitto in Medio Oriente sta scivolando verso un allargamento...
«Noi speriamo che si possano riprendere le trattative su Gaza. Ma il problema è più generale. Bisogna ascoltare i popoli, che vogliono la pace. Tutti. Ma oggi la voce dei popoli viene sommersa dagli interessi di chi vede solo la guerra come soluzione dei problemi. Ascoltare i popoli significa per prima cosa mettere fine alla carneficina di tante vite innocenti. E poi indicare chiaramente le responsabilità di chi ha voluto iniziare questa nuova guerra, senza distinzioni e senza omissioni, in modo vergognoso di fronte al proprio popolo».
 

[ Alberto Bobbio ]