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26 Janvier 2014

Cristiani ed Ebrei

Storia di un "ri-trovarsi"

L'amicizia tra Wojtyla e Kluger nel racconto di Svidercoschi

 
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Un libro "che attraverso la tenera carnalità di un'amicizia" è riuscito a spiegare il rapporto tra ebrei e cristiani "meglio di tanti documenti"; il  racconto di un'amicizia che è "l'incarnazione della Nostra Aetate", così come "l'incontro di Assisi è stato la Nostra Aetate portata sulla scena umana". Andrea Riccardi, storico e fondatore della Comunità di Sant'Egidio, definisce in questi termini il volume "Il Papa e l'amico ebreo. Storia di un'amicizia ritrovata" di Gian Franco Svìdercoschi, ripubblicato da Cairo e Libreria editrice vaticana e presentato giovedì 23 gennaio a Roma.  Il libro racconta l'amicizia tra Karol Wojtyla e l'ebreo Jerzy Kluger, iniziata nella Polonia degli anni Venti, interrotta dalla guerra, ritrovata a Roma durante il Concilio Vaticano II.

 Profondo filosemitismo. Significativa, secondo Riccardi, la "correzione" suggerita nel volume da Giovanni Paolo II, "dove il ri-trovarsi di cristiani ed ebrei (al posto dell'originario `riabbracciarsi' scritto dall'autore, ndr) vuol dire ritornare ad una posizione che per il Pontefice è quella giusta: essere amici e fratelli. Gli ebrei come fratelli maggiori". Di qui la sottolineatura del "profondo filosemitismo, carnale, che nasce nella vita quotidiana", di Giovanni Paolo II, il quale, ricorda ancora lo storico, "all'indomani del viaggio in Terra Santa mi disse che con gli ebrei si era creato qualcosa di 'profondo-. "La citazione nel testamento dì Wojtyla del rabbino Toaff, oltre che dì don Stanislao , è stata -  parola di Riccardi - una scelta di amicizia personale ma soprattutto di carattere simbolico".

 Attenzione al dialogo. Di "libro profetico" e di monito alla "memoria e alla riflessione alla vigilia della Giornata della memoria" parla Gianni Letta, già direttore del quotidiano romano "Il Tempo", che ne aveva già presentato la prima edizione nel 1993. Letta richiama l'elezione di Giovanni Paolo II e l'edizione straordinaria de "Il Tempo" uscita in tempo reale per opera dell'allora vaticanista del giornale Svidercoschi, unico ad averla "prevista". La coedizione del libro, spiega don Giuseppe Costa, direttore della Lev, è "alleanza strategica per veicolarlo anche in ambienti non strettamente cattolici", ma è soprattutto "attenzione al dialogo con il mondo ebraico, nell'imminenza della canonizzazione di uno dei protagonisti del volume, e del viaggio dì Papa Francesco in Terra Santa; dialogo da rilanciare e sostenere". "Non ho paura dell'antisemitismo becero che si registra in queste settimane in Francia - assicura Gian Franco Svidercoschí con riferimento all'attualità - ma dell'intolleranza che sta emergendo a livello europeo, all'interno della quale l'Italia detiene il record negativo dell'odio e degli insulti antisemiti su Internet". Una "pericolosa tendenza" che "si può invertire solo partendo dall'educazione, in particolare dalla scuola".

 Crollate barriere ancestrali. La parola, infine, al rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni,  secondo il quale "nelle periferie il clima è completamente differente; anche grazie a storie come questa sono crollate barriere ancestrali". "Il pubblico cattolico informato - chiosa -, quello che segue l'insegnamento dei propri pastori, capisce come il rapporto con il popolo ebraico sia cambiato". In questo "la Chiesa 'è avanfi-, a differenza dì coloro che, come il fondatore dì un famoso quotidiano nazionale, sottolinea il rabbino con un filo di ironia, si "proclamano laici ma assumono posizioni "vecchie' e rimangono indietro quando disquisiscono di religione". Il 18 ottobre 1978, anniversario della deportazione degli ebrei di Roma (nel 1943, ndr), "alla notizia dell'elezione di un papa polacco - rammenta Di Segni - gli ebrei sono stati attraversati da un brivido", Per loro era valida l'equivalenza Polonia-antisemitismo: "generalizzazione incauta ma diffusa, poi  ribaltata dai fatti". Quanto alla visita di Wojtyla in Israele, il rabbino capo la ricorda come "un successo" a differenza di quella, "drammatica", di Paolo VI. E conclude: "In quel momento la classe dirigente in Vaticano era polacca. Anche la classe dirigente ebraica era costituita da polacchi: la cosiddetta polish  connection". 

a cura di Giovanna Pasqualin Traversa 


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