'La Chiesa è all’opposizione? No, sta cercando il dialogo'. Editoriale di Andrea Riccardi su Corriere della Sera

Il personale e il linguaggio del nuovo governo sono estranei al mondo e al modo di ragionare dell'universo cattolico. Il caso della nave Aquarius La presentazione alla Camera del governo Conte, qualche giorno fa, è stata definita da Avvenire con un titolo severo in prima pagina, «Si cambia». Senza slanci. Eppure in passato il direttore del quotidiano, Tarquinio, aveva tentato un dialogo con i pentastellati tra le perplessità della segreteria della Conferenza episcopale italiana (Cei). Avvenire, parlando de «La povera visione» (titolo di un editoriale), nota nel programma di Conte il trionfo del pragmatismo venato da «parecchio giustizialismo» (inasprimento delle pene, legittima difesa allargata, agenti provocatori), tanto da concludere che più di un avvocato degli italiani, come promesso, «si tratta di un inquisitore». La Chiesa all'opposizione? Non è la sua posizione. Ma il personale e il linguaggio del governo sono estranei al suo mondo e al suo ragionare. Lo si è visto nella recente vicenda della nave Aquarius. Un dialogo va tutto costruito. Intanto il presidente della Cei, Bassetti, ha posto alcuni «paletti» su temi come persona, lavoro, famiglia, Europa, progressività fiscale (quindi no flat tax), migranti... Anche il presidente dei vescovi europei, Bagnasco ha fatto sentire la sua voce sui migranti. La Cei pensa a un'Italia ancorata all'Europa e responsabile nel Mediterraneo. Al mondo mediterraneo, sarà dedicato un futuro grande convegno della Chiesa, che delineerà una visione dell'Italia nella regione.

Nell'ultimo anno, la Chiesa ha cercato di assumere una nuova posizione. Bisogna andare un anno indietro, quando fu archiviata la legge per la cittadinanza ai figli degli stranieri in Italia, lo ius culturae richiesto dai cattolici. Si misurò l'irrilevanza della Chiesa. Il riposizionamento è guidato dalla Cei. Non dal Papa né dal Vaticano. Forse monsignor Becciu, promosso cardinale, sarà l'ultimo italiano, Sostituto della Segreteria di Stato per questo pontificato. Oggi la presenza della Chiesa si delinea a partire dalla memoria della Preghiera per l'Italia del 1994, quando Giovanni Paolo II difese l'unità del Paese di fronte alle spinte secessionistiche. Vari vescovi hanno ripreso la preghiera il 2 e il 3 giugno scorsi: da quelli di Rovigo, Torino e Belluno, all'arcivescovo di Bologna, Zuppi, che ha fatto cantare il Te Deum per la Costituzione, ricordandola come espressione di umanesimo italiano, che molto deve al cristianesimo. Il presidente della Cei Bassetti ha sostenuto lealmente Mattarella durante i negoziati per il governo, mentre ha raccomandato che non si mettesse in crisi il sistema Italia. Il Quirinale è stato il riferimento della Chiesa. La Chiesa considera negativo il clima di conflittualità, nella convinzione che una campagna elettorale permanente non faccia bene al Paese: «Rischiamo di mettere l'Italia in una situazione difficile da recuperare», ha dichiarato Galantino, segretario della Cei. Il tema del «bene comune» ritorna spesso. Il programma di Bassetti è di lungo periodo: «Dobbiamo... - ha detto - essere capaci di unire l'Italia e non certo di dividerla... il futuro del Paese significa anche rammendare il tessuto sociale dell'Italia con prudenza, pazienza e generosità».

L'idea del «rammendo» è centrale nella visione di Bassetti, che in questi mesi ha visitato molte realtà locali, confermando una leadership unificatrice e pacificante. Siamo lontani dalle emozioni e dalle lacerazioni di questi mesi. Anche se la Chiesa si è accorta che i suoi fedeli, pure i più legati alle sue istituzioni, sono spesso soggetti a un'attrazione emotiva verso i populismi. Manca una cultura cattolica e le scuole di formazione politica, attive nei decenni passati, sono state senza efficacia. Giovanni Paolo II diceva però che «una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta». Un caposaldo del messaggio di Bassetti è l'invito al protagonismo dei cattolici in politica senza steccati. Il presidente della Conferenza episcopale ha giudicato poco fruttuosa la stagione della diaspora dei cattolici nei partiti: se i cattolici «non trovano - ha detto - una forma per esprimersi insieme, si rischia di essere inefficaci». Ma ha precisato: «quale sia la forma non sta a me dirlo». Però c'è una storia da riprendere, non da ripetere: «È venuto il momento di interrogarci se siamo davvero eredi di quella nobile tradizione o se ci limitiamo soltanto a custodirla...», insiste il cardinale quasi stimolando i laici cattolici. La proposta non è qualche riunione tra i vertici delle associazioni che si ripetono da anni senz'efficacia. È la recezione dell'inquietudine del popolo cattolico che avverte il bisogno di non assistere silente, a disagio di fronte alla politica, e non vuole essere subordinato alle emozioni che abitano una parte degli italiani.