La pace è un dono di Dio ma è anche opera di ciascuno. Meditazione di Marco Impagliazzo sul Libro del profeta Isaia 2,1-5

15 marzo 2022, Basilica di Santa Maria in Trastevere

Marco Impagliazzo

Isaia 2, 1-5
1Messaggio che Isaia, figlio di Amoz, ricevette in visione su Giuda e su Gerusalemme.
2Alla fine dei giorni,
il monte del tempio del Signore
sarà saldo sulla cima dei monti
e s'innalzerà sopra i colli,
e ad esso affluiranno tutte le genti.
3Verranno molti popoli e diranno:
"Venite, saliamo sul monte del Signore,
al tempio del Dio di Giacobbe,
perché ci insegni le sue vie
e possiamo camminare per i suoi sentieri".
Poiché da Sion uscirà la legge
e da Gerusalemme la parola del Signore.
4Egli sarà giudice fra le genti
e arbitro fra molti popoli.
Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri,
delle loro lance faranno falci;
una nazione non alzerà più la spada
contro un'altra nazione,
non impareranno più l'arte della guerra.
5Casa di Giacobbe, venite,
camminiamo nella luce del Signore.

Fratelli e sorelle,
la parola del profeta Isaia esprime una grande fiducia nel Signore, Signore che è la speranza del popolo di Israele, come giudice misericordioso tra le genti e arbitro tra molti popoli.
Sì, noi sentiamo, sappiamo, vediamo in questi giorni popoli che si combattono. Popoli che hanno armato le loro mani e le loro menti. E siamo toccati ancora da ciò che accade in Ucraina in queste ore. Così il profeta vede l’urgenza dell’intervento del Signore per ricondurre i popoli alla saggezza del far cadere le armi e del tornare a vivere insieme.
Poi ci sono i popoli che non hanno conosciuto e non conoscono il dolore della guerra e hanno creduto che chiudendosi in sé stessi ci si sarebbe salvati non aiutando chi era nel bisogno. Ma oggi tutti siamo sfidati a capire come il dolore della guerra ci tocca e ci chiede, giustamente, di aiutare chi è nel bisogno.
Sorelle e fratelli,
di fronte a tanta sofferenza ci chiediamo: che cosa fare ancora? Noi preghiamo ogni giorno per la pace in Ucraina e in altre parti del mondo. Mettiamo a disposizione la vita della Comunità, le sue opere per l’accoglienza, per portare aiuto, conforto. Ma vogliamo soprattutto rivolgerci al Signore, lui che sarà giudice tra le genti e arbitro tra molti popoli. Lui, che può far spezzare le spade perché diventino aratri, che può spezzare le lance perché diventino falci, che può insegnare a ogni nazione a non alzare più la spada contro un’altra, che può insegnare un’altra arte, quella della pace e non della guerra.
Sorelle e fratelli,
queste parole del profeta sono le parole di oggi. Non sono solo le parole di un tempo antico, passato, sono le parole di oggi perché, purtroppo, le armi sembrano servire ancora. E la Parola di Dio ci mette in un mondo, ci fa vedere un mondo in cui le armi non serviranno più, anzi, quello che si spende e si usa per fare le armi, ci dice la Scrittura, sarà usato per coltivare la terra, sarà usato per dar da mangiare agli affamati. Sappiamo che non c’è pace senza disarmo, senza coltivare quella terra che dà da mangiare agli uomini.
È quel disarmo che Gesù chiede ai suoi discepoli nell’ora della passione. Basta! Dice a chi gli presenta due spade, perché non c’è pace senza deporre le armi. È così, lo abbiamo detto all’inizio di questo tempo di Quaresima: facciamo cadere anche nel nostro cuore ogni tentazione di piccola guerra, che ancora c’è nella nostra vita, verso chi c’è vicino, verso gli altri.
Siamo pacifici e miti in questo tempo, venerando la pace nella vita. Siate in pace con tutti, dice l’apostolo Paolo ai romani. Ma soprattutto, continua il profeta: Un popolo non alzerà più la spada contro un altro, non si eserciteranno più nell’arte della guerra.
È un grande sogno ma è una realtà che inizia se crediamo al Signore, se crediamo alla sua parola. Un popolo non farà più la guerra a un altro popolo e non si farà più la guerra all’interno dello stesso popolo. Questo sarà il dono della fine dei tempi ma noi vogliamo e chiediamo, soprattutto oggi, che questi tempi vengano presto, perché affrettare il regno di Dio vuol dire desiderare la pace. Ma anche volere la pace significa che il regno di Dio è più vicino, significa chiedere che il Regno di Dio sia in mezzo a noi.
Lo diciamo nel Padre Nostro, “Venga il tuo regno”, e chiediamo ancora questa sera la pace, il dono della pace, quella pace che rende dolce il pane quotidiano, che rende bella la terra degli uomini e i cieli dei cieli. Quando chiediamo la pace chiediamo il regno di Dio. E come non chiedere la pace oggi, quando sentiamo le grida di dolore e vediamo le immagini di morte.
La pace è un dono di Dio ma è anche opera di ciascuno. Fare una piccola pace, una pace fragile, la nostra pace, ma farla questa pace ogni giorno nella nostra vita, sapendo e credendo che è possibile, perché il Signore ce la indica e i suoi sentieri sono sentieri di pace.
Noi preghiamo questa sera perché russi e ucraini possano camminare presto, anzi prestissimo, su questi sentieri di pace.