"Davanti alla croce della guerra bisogna piangere e pregare per la pace". Meditazione di Andrea Riccardi su 1Cor 1, 17-18 nella Giornata di preghiera per l'Ucraina

Esaltazione della Croce
Preghiera per la pace
1 Cor 1, 17-18


Cari fratelli e sorelle,
celebriamo nella festa dell’Esaltazione della Croce, su invito dei vescovi europei, la preghiera per la pace
. Bisogna pregare per la pace. Preghiamo poco e per questo siamo ossequienti al corso degli avvenimenti, limitati a noi e nella nostra partecipazione. Preghiamo poco per la pace: lo si sente la domenica nelle chiese in cui s’ignora la guerra nelle intenzioni. Così, mentre le armi corrono per il mondo con una velocità incredibile, la grande arma della preghiera - diceva Alfonso de Liguori- sta riposta nell’arsenale del passato. E’ giusto l’invito a svegliarsi nella preghiera e a unirsi in un unico grido: pace! Shalom, nella Bibbia ha molti significati: pace, benessere e sicurezza. La condizione in cui un uomo, una donna, un bambino, un anziano stanno bene. Com’è bello e umano stare bene! La pace è il nome di Dio, fin da Gedeone che consacrò un altare al Signore “e lo chiamò Il Signore è pace” (Giud 6,24). Questa fede sale per tutta la Bibbia, finché Paolo gli dà voce, scrivendo di Gesù agli efesini: “Egli è infatti la nostra pace” (2,13). Pace è il nome di Dio.
Eppure -Dio dice nel libro di Isaia ed è vero oggi- “tutti i giorni il mio nome è stato disprezzato (o bestemmiato)” (52,5). Sì, il nome di Dio è bestemmiato, quando la pace è calpestata. Con la violenza terroristica nel Nord del Mozambico, dove sta avvenendo un disastro di proporzioni bibliche: quasi un milione di sfollati, terrorizzati dagli attacchi.

Pochi giorni fa una missionaria, suor Maria De Coppi, è stata uccisa brutalmente a 83 anni, di cui quasi 60 in Mozambico, cittadina del paese, sempre nelle periferie e zone disagiate. La sua morte ne illumina la vita, tutta dedicata a una passione: i cristiani e i poveri del paese. Dà luce alla nostra vita in un tempo di passioni tristi, attorno a noi. Lei ha testimoniato la fine della guerra, la pace, cui aveva assistito in una missione nel 1992, trent’anni fa: “Con noi c’erano anche militari. Abbiamo preso paura perché temevamo le solite violenze. Invece i guerriglieri sono venuti da noi e dai militari e ripetevano “Pace, pace”. Un militare ha comprato dei prodotti tipici e li ha offerti ai guerriglieri. Tutti danzavano e io mi domandavo se era realtà o sogno, perché fino al giorno prima i guerriglieri rapivano e uccidevano. È stato un momento che mi ha toccato profondamente. Ho sentito la presenza di Dio…”

Dio è pace, ma il suo nome è bestemmiato in Ucraina, in una guerra che non finisce, che ha fatto sparire dal vocabolario la pace, ha cancellato città e vite umane, ha provocato otto milioni di profughi. Una guerra su cui aleggia la minaccia nucleare. La guerra in Ucraina è una grande croce, in cui il Figlio di Dio è bestemmiato. Con lui, donne, bambini, anziani, uomini, figli di popoli che sono fratelli (e non è espressione di propaganda, ma realtà della storia, nata dal battesimo di Rus’). Un fratricidio e una guerra civile, voluta da pochissimi che imprigiona due interi popoli, che rischia di incendiare il mondo, perché la guerra si comunica, come vediamo (si pensi alla riapertura del conflitto tra azeri e armeni).

La guerra fa morire a distanza, come i profughi che se ne vanno per conflitti o necessità, che muoiono nel Mediterraneo: bambini, neonati… non soccorsi, spinti dalla disperazione. Dall’inizio del 2022 quasi 1300 morti o dispersi (e pensiamo che quelli venuti con i corridoi umanitari sono circa 800). Affondare in mare è il segno estremo di un mondo che non vuole fare, abbandona, ridotto all’impotenza, senza coscienza sensibile che spinga ad allungare le braccia.
Davanti alla croce di Cristo, la guerra, non facciamo discorsi sapienti: “perché non venga resa vana la croce di Cristo”. Ricordo con quale forza Giovanni Paolo II diceva in latino: “ut non evacuetur crux Christi”. Davanti alla croce non si fa geopolitica, ma si crede e si piange. Come il centurione. Solo dalla croce riparte una profezia di pace: “la parola della croce è stoltezza infatti per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio”. Infatti le relazioni tra i popoli mancano di profezia di pace, per questo pure di realismo.

Gli uomini, le autorità romane, i religiosi e il populismo strumentalizzato della piazza di Gerusalemme, hanno condannato Gesù alla croce. Chi lo disprezzava, chi lo insultava, chi indifferente, chi spaventato. Ma Dio lo ha chiamato alla vita, perché il Figlio suo non poteva essere trattenuto dalle tenebre della morte. La croce, attraverso cui passano le esistenze, le vite dei popoli e la storia, non è l’ultima parola. Di fronte ad essa si manifesta la potenza di Dio che richiama alla vita. E per prime le donne dicono: “E’ risorto”. La guerra è un’opera
maschile e, per prime, le donne diranno pace.

Davanti alla croce, quella immensa della guerra in Ucraina, in Mozambico, in Siria e ovunque, si deve tornare a piangere, come fossero figli nostri, fratelli nostri, madri e padri nostri, si deve sentire la sua durezza sulle nostre spalle come Simone di Cirene, perché non possiamo occuparci solo di noi, lacrimare per noi o invenire contro i vicini. Abbiamo bisogno dei vicini, per pregare insieme, perché Dio faccia risorgere nella pace i popoli per cui lo preghiamo. Abbiamo bisogno dei vicini per realizzare un sogno di pace: curare i feriti, lavorare per la fine della guerra. Sogno benedetto da Dio. Mandi il Signore il suo Spirito di pace nel cuore dei pochi decisori e ispiri sentimenti di pace, fermi le mani che uccidono, ridoni umanità e fraternità a chi si odia. Con fede, insistenza, lo invochiamo perché si compia presto questo miracolo di resurrezione!”