«L'Europa delle frontiere non ha futuro. Servono ponti non muri»

Intervista a Andrea Riccardi
Il fondatore della Comunità di S.Egidio: «Assistiamo a uno spostamento della cortina di ferro da Est a Sud. Ma il Mediterrraneo non si può dividere»

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C'è chi costruisce muri e chi apre i corridoi umanitari. Andrea Riccardi, storico, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, è tra quest'ultimi. Di una cosa, l'ex ministro per la Cooperazione internazionale si dice certo: «Nelle dimensioni nazionali, l'Europa non ha futuro, sia dal punto di vista demografico che nel confronto con i giganti del mondo». Ma l'Europa solidale e inclusiva si costruisce anche dal basso. In questo senso, l'esperienza del corridoio umanitario tra Libano e Italia, del quale la Comunità di Sant'Egidio è stata tra i protagonisti, dimostra tra le altre cose, che «le società civili possono e vogliono rapportarsi in modo diverso e fattivo ai rifugiati».
Professor Riccardi, che Europa è quella che blinda le fronthere, innalza muri di filo spinato e tratta il tema dei rifugiati come un problema di ordine pubblico?
«Il muro è innaturale per l'Europa, perché la nuova Europa, l'Europa dei Ventotto si è costruita con l'abbattimento del Muro di Berlino nel 1989.Noi oggi ci troviamo dunque di fronte a un fatto innaturale per l'Europa. Debbo notare, peraltro, che questi muri non si possono costruire sul Mediterraneo. Il Mediterraneo è, per usare l'efficace definizione di Braudel, "un mare che unisce", di più, è il mare dei mari. E rimarco ancora come queste mura vengono costruite a ridosso del mare, all'interno: penso, ad esempio, al nuovo reticolo macedone-greco, oppure ai muri ungheresi o a quelli di Calais».
Quale alternativa ai muri?
«Io credo che i muri riportino alle dimensioni nazionali, e nelle dimensioni nazionali l'Europa non ha futuro, sia da un punto di vista demografico che nel confronto con i giganti del mondo. È come se si volesse espiantare la dimensione del Mediterraneo dal cuore dell'Europa, magari condannando alcuni Paesi del Nord e del Sud ad essere spazi di ricovero per i rifugiati: Italia e Grecia, Libano e Turchia, e questo proprio non va. Faccio notare, altresì, che siamo di fronte a 1,2 milioni di rifugiati che grosso modo sono quelli che ospita il piccolo Libano con 6 milioni di abitanti. Negli ultimi tempi stiamo assistendo a uno spostamento della cortina di ferro da Est a Sud, ma il Mediterraneo, per sua natura, è un luogo che non si può dividere in modo bipolare. Ecco la sfida da affrontare: nel Mediterraneo costruiamo ponti in tempi di muri».
Guardando alle chiusure imposte da vari Paesi e al dibattito che segna i vertici europei, sembra che per i Ventotto, o comunque una parte significativa dei Paesi Ue, la questione del rifugiati e più in generale il tema delle migrazioni sia solo un problema di sicurezza. E quando alza gli occhi verso ciò che di drammatico sta avvenendo nel Vicino Oriente, l'Europa più che a soluzioni sembra interessata a individuare "gendarmi" ai quali affidare il controllo dei migranti.
«L'Europa sta rispondendo con i muri a un problema più grande, che è un problema di pace in Siria, ad esempio, ma il discorso potrebbe allargarsi ad altre realtà segnate dalla guerra nella regione, come il dimenticato Yemen. In realtà, ed è una triste quanto veritiera constatazione, l'Europa non si è scaldata sulla guerra in Siria, non ha cercato soluzioni, e invece si è risvegliata estremamente preoccupata quando sono arrivati i rifugiati. Qui allora c'è un problema che investe anche la solidarietà europea, cioè non si possono dismettere le frontiere europee. Non ci sono soluzioni semplici per un problema così complesso, è bene esserne consapevoli fino in fondo. Ma con la stessa nettezza va subito aggiunto che quella dei muri è veramente una soluzione tristemente semplicistica»-
Le leadership europee sono, a suo avviso, all'altezza di questa sfida che ha caratteri epocali che vanno ben oltre la stretta contingenza politica?
«Non so né voglio ergermi a giudice, ma dire che queste leadership sono preoccupate della paura della gente e quindi fanno una politica della paura e di un ristretto senso dell'interesse nazionale. Ci sono poi le eccezioni...»
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Quali, professor Riccardi?
«Penso alla Merkel, in cui io vedo una grande coscienza cristiana e democratica, e poi anche all'Italia di Renzi che spinge per una posizione differente dell'Europa».
È importante, e possibile, anche una iniziativa dal basso, come quella che ha visto protagonista la Comunità di Sant'Egidio con il corridoio umanitario aperto tra il Libano e l'Italia.
«La nostra esperienza dei corridoi umanitari è rivelatrice di due cose; la prima, che i rifugiati non sono condannati al gioco d'azzardo della loro vita nel mare; in secondo luogo, questa esperienza sta a dimostrare che le società civili possono e vogliono rapportarsi in modo diverso e fattivo ai rifugiati. Quella dei corridoi è un insieme di accoglienza e diplomazia che è stata possibile in un Paese come l'Italia».


[ Umberto de Giovannangeli ]