Dialogo e pace: la lezione di Assisi. Intervista ad Andrea Riccardi

A 30 anni dallo storico incontro del 27 ottobre 1986
Martedì 20 settembre i leader religiosi del mondo e papa Francesco pregano insieme affinchè cessino tutte le guerre. Parla Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio.

«Cosa sarebbe il mondo senza il dialogo? Cosa sarebbe il mondo senza la preghiera?». Risponde così Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, a quanti si dicono scettici sul ruolo delle religioni per la pace. A trent'anni dalla Giornata mondiale di preghiera per la pace, che Giovanni Paolo II convocò ad Assisi il 27 ottobre 1986 e alla quale presero parte i rappresentanti di tutte le grandi religioni mondiali, il popolo della pace torna a incontrarsi nella cittadina umbra. «Certo, gli scenari sono cambiati, ma l'intuizione che ebbe Wojtyla che le religioni hanno un ruolo per la pace e possono avere, purtroppo, anche un ruolo per la guerra, fu chiaroveggente».
Cosa è successo in questi 30 anni?
«Allora in Occidente si pensava che la secolarizzazione avrebbe vinto dappertutto e che avrebbe ridotto la religione a un fatto residuale. Wojtyla, invece, era convinto del ruolo storico delle religioni e quindi della necessità che esse fossero portatrici, insieme, di un messaggio di pace. Il suo sogno, nel 1986, era quello di un grande movimento di pace che, scendendo dal colle di Assisi, coinvolgesse le religioni e travolgesse le guerre. Invece l'interpretazione che di quell'iniziativa si fece è stata quella di un evento unico. Fu un errore, molte volte ne ho parlato con Giovanni Paolo II e lui ha sempre insistito che bisognasse continuare, allargare, girare il mondo perché il mondo aveva bisogno dello spirito di Assisi».
Questo sogno di allargare lo spirito di Assisi con papa Francesco si sta concretizzando?
«Papa Francesco ha un'esperienza di dialogo interreligioso, a Buenos Aires, vissuto nella quotidianità. Lui è stato sfidato dalle religioni che giustificano le violenze, pensiamo al terrorismo islamico, ma non solo. E ha dichiarato in aereo tornando dalla Polonia che non sono le religioni che vogliono la guerra. Questo è lo spirito di Assisi ed è molto significativo che, 30 anni dopo, Francesco riprenda questo spirito, che altro non è che la recezione creativa del dialogo interreligioso voluto dal Vaticano II. Dico recezione creativa perché non è solo un dialogo diplomatico, ma è diventato una liturgia dell'unità del genere umano, è diventato uno spirito che scorre in tante situazioni».
Per esempio?
«Ho in mente un episodio ad Abidjan, in Costa d'Avorio, quando venne incendiata un moschea. Ma quando i musulmani vanno per incendiare una chiesa, l'imam, il pastore protestante e il prete fanno muro insieme: quello è lo spirito di Assisi. Così come è significativo che, in concomitanza con la giornata del 20 settembre, l'evento di Assisi venga celebrato in una cinquantina di Paesi. È quello che dice anche papa Francesco, il sogno che ogni leader religioso diventi, nel proprio quotidiano, un artigiano di pace».
Perché il dialogo tra le religioni è così importante?
«Uscirei da una visione tecnica e ideologica di dialogo, qui è l'unità delle genti, delle religioni. Unità senza confusione perché le identità, le storie, le tradizioni, le spiritualità sono diverse, ma c'è la scoperta del fondo comune, del messaggio di pace che è in ogni religione, e anche la scoperta che un'autentica dimensione religiosa si collega sempre a un impegno per la pace. Ma poi non tutte le esperienze religiose vogliono la pace, penso al fanatismo, al radicalismo, all'abuso della fede per uccidere. E in questo senso c'è una responsabilità dei leader religiosi per fare muro e costruire la pace. Sant'Egidio, in questi anni, ha voluto continuare lo spirito di Assisi perché crediamo che sia una grande eredità che non appartiene solo ai cattolici, ma al patrimonio delle religioni mondiali. Credo che lo spirito di Assisi abbia aiutato le religioni a non essere imprigionate in una logica di guerra e che abbia fatto crescere una cultura del vivere insieme importante in un'epoca di globalizzazione».
L'incontro cade in un momento in cui l'Europa e, in genere, le istituzioni internazionali sembrano fragili. Cosa aspettarsi da Assisi?
«Credo che oggi la politica internazionale vada sorretta con un movimento di pace nato dalle religioni. Credo che oggi, penso davanti alla Siria, ad Aleppo, siamo assolutamente distratti, disinteressati, ci riconosciamo impotenti. In questo senso le religioni debbono animare un movimento per la pace. Oggi la gente si deve risvegliare e guardare con interesse e partecipazione a questi scenari tragici che si aprono davanti a noi. Mi ricordo quello che si fece per i muri, il movimento perché non ci fosse la guerra in Iraq... Oggi siamo tutti rassegnati e questo non è bene. Spero che i trent'anni di Assisi possano far risorgere la speranza che la pace è possibile».
L'informazione ha responsabilità?
«L'informazione è decisiva. Oggi le notizie sono tantissime e si va a semplificazioni emotive e di posizioni contro. C'è una responsabilità di informare e di aiutare a capire».
La politica ha ceduto il passo all'economia?
«Credo che lo Stato e l'Europa debbano riprendere - e la Mogherini lo sta facendo - una loro soggettività internazionale. Lo ripeto, la vicenda di Aleppo è una realtà drammatica: una guerra di cinque anni in Siria, una violenza generalizzata, un popolo distrutto è troppo per continuare a vivere senza che la politica intervenga».
Questo appuntamento cade durante l'anno giubilare...
«È una provvidenziale coincidenza anche perché il dialogo è amore, è misericordia, non ideologia».


[ Annachiara Valle ]