Bimbi in carcere, dopo il dramma servono alternative più umane

Le idee

Altre due morti nelle carceri italiane. Ma questa volta si è trattato di due bambini, Faith di sei mesi e Divine di un anno e mezzo, uccisi dalla madre in un raptus di follia nella sezione nido di Rebibbia. Che ci facevano due bambini così piccoli in una cella? E che colpa hanno avuto per meritare una pena detentiva?
La Riforma del 1975 aveva previsto che le mamme potevano tenere con sé i propri figli fino al compimento del terzo anno di età. E così i due bimbi erano stati incarcerati con la madre, una georgiana di origine tedesca, arrestata per detenzione di stupefacenti, con problemi legati alla droga e che aveva manifestato dei segnali di instabilità psicologica. Ma Faith e Divine erano innocenti, perché tutti i bambini sono innocenti. Hanno avuto solo la colpa di nascere in un momento e in un contesto sbagliato.
Queste morti racchiudono tutte le contraddizioni e i problemi della realtà carceraria: la detenzione di tossicodipendenti, la difficile comunicazione con gli stranieri, la scarsa attenzione a persone con problemi psichiatrici per cui manca una vera e propria presa in carico. E soprattutto la presenza di minori all’interno dei reparti detentivi.
La carcerazione dei bambini con le madri è frutto di norme che paradossalmente erano nate per favorire la realizzazione di un principio umanitario, quello di evitare il trauma del distacco dalla figura materna. Tuttavia, nonostante alcune modifiche e tanti proclami dei Guardasigilli che si sono succeduti in questi anni e che promettevano “mai più bambini in cella”,i minori continuano a vivere in carcere.
Crescono con i ritmi, i suoni e gli odori delle prigioni: la conta giornaliera, le porte blindate e il tanfo che si respira nelle galere. Apprendono subito i termini del gergo carcerario e se si ammalano e devono andare in ospedale sono accompagnati da un agente, perché non possono avere la mamma accanto a loro. Diventano presto aggressivi e nevrotici, piangono per ogni contrarietà e non sorridono mai. Invece di andare a giocare nei parchi possono solo godere di un'ora d’aria in un cortile angusto e malsano. Un anno fa, nel carcere di Messina infestato da ratti, un bimbo di un anno ingerì un topicida che era stato collocato da una guardia carceraria e finì al pronto soccorso.
Di fronte a questa ingiustizia, sembra quasi più umana la scelta di Adelina Sbaratti, la contrabbandiera di Forcella, interpretata da Sophia Loren nel film di Vittorio De Sica “Ieri, oggi e domani”, che restava continuamente incinta per evitare di finire dietro alle sbarre.
Al 31 agosto scorso erano 62, figli di 52 mamme, rinchiusi in 15 istituti di pena. Meno della metà stanno negli Icam, gli Istituti a custodia attenuata per madri con la prole al seguito, istituiti grazie ad una legge del 2011. Si tratta di strutture senza sbarre dove il personale non ha la divisa e si vive in condizioni penitenziarie più aperte. Eppure si tratta sempre di prigioni, dove si vive lo stress e le restrizioni proprie di un ambiente piccolo e contenuto.
In Campania c’è un Icam a Lauro di Nola, una realtà che per alcuni rappresenta un modello positivo dove attualmente sono rinchiusi dodici minori. Alcuni anni fa era una struttura per tossicodipendenti ,molto apprezzata, dove potevano scontare la pena  circa 60 carcerati.
Poi c’è la stata la riconversione, con una spesa di 600mila euro, ma secondo alcuni è costato di più, ci si è privati di un istituto di cui c’era molto bisogno visto che circa un terzo dei detenuti italiani ha problemi legati all’uso di sostanze stupefacenti. Solo per fare un esempio dello spreco dei soldi spesi, è stata realizzata una grande cucina che non viene mai utilizzata perché le detenute cucinano e scaldano il latte per i propri piccoli sui fornellini nelle loro celle. Ce n’era proprio bisogno? Non è stato un grande sciupio di denaro pubblico?
In ogni caso le prigioni, attenuate o meno, non sono luoghi per bambini, la detenzione dei minori in strutture carcerarie è una pratica contraria ai diritti umani.
Oggi ci possono essere alternative praticabili, anche per i piccoli numeri a cui ci troviamo di fronte. Le case  famiglia previste dalla stessa legge del 2011 che fu fatta senza coperture finanziarie, ma anche delle esperienze di affido a strutture religiose messe in campo dal referente nazionale dei cappellani, possono essere delle valide e concrete soluzioni.
Il Ministro Bonafede ha sospeso i vertici del carcere romano, tuttavia nell’attesa che vengano accertate le responsabilità di funzionari molto stimati, emerge una colpa collettiva di una società intera che, per esorcizzare le proprie paure, non si fa alcun problema di relegare 62 bambini in prigione. La morte di Faith e Divine  chiede oggi alle nostre coscienze di cancellare questa vergogna. E di farlo senza perdere altro tempo.


[ Antonio Mattone ]