La strategia nazionale? Lanciata nel 2012 è rimasta solo sulla carta

"Tela di Penelope". Così nel 2014 un rapporto di diverse associazioni sintetizzava due anni di tentativi dello Stato italiano di darsi una regia per superare le condizioni di disagio sociale, come previsto dalla Strategia Nazionale d'Inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti per il periodo 2012-2020. Il richiamo alla mitologia greca indicava come nelle azioni concrete si disfacessero i propositi mattutini. Oggi, a sei anni e mezzo dalla redazione della Strategia, la leggendaria moglie di Ulisse ha smesso di cucire. Eppure, i quattro assi (istruzione, lavoro, salute, abitazione) voluti dall'allora ministro dell'Integrazione Andrea Riccardi rimangono la meta a cui tendere. Il problema è che gli anni passano, in assenza di azioni serie e quindi di risultati. Un esempio: la Strategia del 2012 chiedeva di istituire tavoli regionali, ma spicca il ritardo delle due Regioni con il maggiore numero di rom e sinti. Nel Lazio è stato avviato solo nel 2015, mentre non è ancora stato costituito nella Lombardia di Gallarate.
Applicare la Strategia vorrebbe dire abbandonare la trattazione emergenziale, programmare interventi di integrazione, incidere su dispersione scolastica e lavoro. Invece è meglio procedere a colpi di ruspa e urla.
Si ripete il problema, senza fare quasi nulla. Anche sul tema della legalità: tra i minori segnalati al Ministero della Giustizia, il 12% sono rom, mentre il 67% sono italiani non rom e il 20% stranieri. Ma i minori rom hanno una particolarità: solo il 37% dei segnalati viene preso in carico con un progetto di reinserimento sociale, contro il 54% degli stranieri ed il 74% degli italiani. La Strategia del 2012 indicava tante azioni possibili per migliorare le condizioni su abitazione, scuola, salute e lavoro. Pluralità di interventi (diversi, perché differenti tra loro sono i gruppi rom e sinti presenti in Italia) e buone prassi: non facili, ma praticabili; necessitano una regia nazionale e un protagonismo degli enti locali. Quasi nulla di tutto ciò è avvenuto.
Il quadro - nel 2012 come nel 2018 - è allarmante: secondo l'Associazione 21 Luglio, a Roma un minore rom in emergenza abitativa (ben diverso è il dato di chi vive in casa) su 5 non ha mai iniziato un percorso scolastico. Per il Rapporto Eu Inclusive della Casa della Carità nelle baraccopoli il 19% dei rom non sa né leggere né scrivere (come in Italia nel 1951); la maggioranza vorrebbe un lavoro, ma solo il 35% riesce ad averne uno; il 75% di chi abitava nei campi abusivi nel 2012 non aveva la tessera sanitaria, mentre per il Naga tra i minori delle baraccopoli a Milano il 41% non era mai stato visitato da un medico.
Quanto all'abitazione, la Strategia è molto chiara sull'obiettivo: il superamento dei campi, secondo una varietà di soluzioni alternative. Ma superare i campi vuol dire offrire reali alternative, altrimenti gli sgomberi risultano ancora più insensati.
Flaviana Robbiati è un'insegnante elementare di una scuola di Milano. Rubattino, zona di fabbriche dismesse e aree abbandonate, spesso luogo di baracche e tende. «Nel 2008 - racconta - la Comunità dì Sant'Egidio iscrisse i primi bambini». All'inizio qualcuno scrisse addirittura al Ministero dell'Istruzione per domandare come mai la scuola accettasse "bambini pidocchiosi". «I pidocchi - precisa - c'erano sul serio, ma è stato inventato lo shampoo antipidocchi... Organizzammo le docce all'interno della scuola e nella vicina parrocchia». Proprio da via Rubattino arriva un esempio concreto di un reale superamento delle baracche. Continua la maestra: «Con Sant'Egidio e tanti cittadini non abbiamo smesso di seguire quelle famiglie. Ci sono stati sgomberi e difficoltà, ma delle 400 persone che abitavano quella baraccopoli 60 nuclei vivono in casa (dagli alloggi popolari a quelli temporanei, da appartamenti reperiti sul mercato a cooperative edili, qualcuno ha addirittura acceso un mutuo), in ciascuna famiglia almeno un adulto lavora (talvolta dopo tirocini o borse lavoro), la maggior parte ha la tessera sanitaria, 21 ragazzi sono iscritti alle scuole superiori, sono quasi cento i minori che frequentano regolarmente le scuole a partire dal nido, una sessantina giocano durante l'anno nelle polisportive, frequentano gli oratori, partono d'estate per le colonie». Insomma, si potrebbe dire, quello che indica la Strategia, ma che gli enti locali hanno deciso di non fare.


[ Stefano Pasta ]