A confronto con il Vangelo. La svolta di papa Bergoglio

A confronto con il Vangelo. La svolta di papa Bergoglio

Il messaggio di Francesco. Un tempo si parlava di alternanza tra Pontefici religiosi e politici. La distinzione non può reggere oggi, come del resto forse mai

Durante le settimane di coronavirus, papa Francesco ha acquistato rinnovato risalto, non fosse che per la trasmissione quotidiana della messa che, solo sul TG1, ha raccolto un milione e mezzo di ascolti. Sono passati sette anni dall'elezione di un Papa che «viene dalla fine del mondo»: una svolta in una Chiesa colpita dal trauma delle dimissioni di Benedetto XVI, motivate da forte senso di responsabilità più che da gravi questioni di salute. Nel 1978, c'era stata la svolta dell'elezione del Papa «straniero», proveniente dal mondo comunista. In realtà Wojtyla, per soli due anni, non era nato suddito asburgico, come Pio X e Pio XI (e i lombardi Roncalli e Montini venivano, anni dopo, da terre prima asburgiche). Ratzinger poi non era distante dal cuore centroeuropeo del cattolicesimo. I Papi europei sono stati convinti del ruolo religioso del Continente per la Chiesa nel mondo. Ma anche del ruolo politico: Pio XII favorì l'integrazione europea comprendente i protestanti, superando l'Europa latino-cattolica; Wojtyla fece dell'unità europea il suo orizzonte.

Con Bergoglio, c'è un salto nel papato. I commentatori hanno faticato a collocare Francesco nel panorama cattolico. C'è talvolta un diffuso fastidio, piuttosto irrazionale, di fronte a una figura che si smarca dalla continuità nella gestione del potere politico dei Papi, specie in aspetti esteriori e protocollari. Pure i predecessori dopo il Vaticano II si sono mossi in tal senso, pur con altro passo. E' una tensione antica, tanto che Bernardo di Chiaravalle criticava Eugenio III, Papa nel 1145: «tu sembri essere succeduto non a Pietro ma a Costantino». Per il teologo conciliare, padre Chenu, era arrivata la «fine dell'era costantiniana» con una Chiesa missionaria, amica dei poveri, in cui «vive» il Vangelo, più che diritto o filosofia.

Francesco, con scarna semplicità, si presenta come prete e vescovo. È segnato dalla storia argentina e dalla formazione gesuitica. È stato protagonista del documento di Aparecida, con cui i vescovi latinoamericani hanno rilanciato la Chiesa nel Continente. Soprattutto colpisce l'evangelismo che vibra in lui, con il richiamo alla conversione, impastato dalle Scritture. Chi l'ascolta percepisce un Vangelo vivo, più che ideologia o visione del mondo.

Questo crea ovviamente simpatie e antipatie. Costante è l'insistenza sui poveri: la Chiesa dei poveri del Vaticano II vissuta nel contatto con i feriti della vita, ma anche congiungendo mistica del povero (evangelica) e impegno sociale con ben altra vibrazione dalla prassi istituzionale delle grandi organizzazioni assistenziali cattoliche. Migranti e rifugiati, cui spesso il Papa si riferisce, sono un tema ostico ai settori nazional-cattolici. La lettura della Exsul Familia di Pio XII sui migranti (1952) mi colpisce. Pacelli afferma un sorgivo «diritto a uno spazio vitale» della famiglia migrante: è più radicale di Francesco, anche se in situazione diversa. Bergoglio, come posizione sociale, si colloca in una postura «terza», estraneo alle suggestioni marxiste, ma critico del capitalismo globale. Nel 1981, proprio Giovanni Paolo II confidò ad Andreotti che pensava per la Polonia futura: «né capitalismo né marxismo». Per l'Urss post '89, consigliava di non appiattirsi sul capitalismo.

Come Bergoglio guarda l'Europa? Su questo, Ferruccio de Bortoli lo interrogò nella prima intervista. Non richiamo poi i vari interventi ufficiali, ma solo l'ultima operazione di pressione, da lui fatta, in tempo di Covid-19 (culminata nell'appello di Pasqua), per un'UE solidale con il Sud, che ha il punto di forza nel rapporto con Angela Merkel, sensibile al pensiero del Papa.
Per quel che riguarda il governo del primo Papa globale in un mondo scomposto, gli accorpamenti e gli aggiustamenti non hanno creato una nuova architettura d'istituzioni. Il centralismo romano, spiacente a varie Chiese locali, s'è moderato, ma il governo romano resta punto di coesione. Il Papa, accessibile a molti, governa con uno stile che ad alcuni ricorda in qualcosa il proposito generale, cui fa capo immediatamente l'azione della Compagnia di Gesù. In realtà, come la società globale, la Chiesa vive un'incerta transizione: non si delineano già le istituzioni di domani.

Intanto il Papa pone al centro il confronto personale e ecclesiale con il Vangelo. E, percorrendo questa strada, si colloca come un autorevole leader globale e spirituale. Un tempo si parlava di alternanza tra Papi religiosi e politici. Bergoglio, Papa religioso o politico? La distinzione non può reggere oggi, come del resto forse mai. 

 


[ Andrea Riccardi ]