«Ho incontrato in Bosnia giovani migranti che cercano di vincere il "gioco" finale per iniziare a vivere davvero»

Francesco Invernizzi studia Scienze politiche e ha vissuto un`esperienza a Bihac con la Comunità di Sant'Egidio

Un viaggio che segna, dentro, che si può immaginare, ma che comunque pone di fronte a una realtà spiazzante, per quanto raccontata. Un'esperienza che dà risposte e pone altri interrogativi. Il 9 agosto Francesco Invernizzi è partito per la missione di Bihac, città della Bosnia ed Erzegovina, ringraziando tutti coloro che hanno deciso di donare aiuti portandoli alla parrocchia Santa Rita.
Chi è Francesco e perché ha deciso di partire? «Sono uno studente di Scienze Politiche a Padova, da diversi anni frequento il mondo dell'associazionismo e del volontariato con Sermais a Novara e con la Comunità di Sant'Egidio a Padova. Proprio con Sant'Egidio mi è stata data la possibilità di fare questa esperienza. Penso sia importante cercare di aiutare chi ne ha bisogno, ma anche di osservare le varie realtà da punti di vista diversi per cambiare poi prospettiva nella vita di tutti i giorni. Il nostro viaggio è durato cinque giorni, dal 9 al 13 agosto, nei quali abbiamo affiancato nelle attività l'associazione JRS (les uit refugee service) che fa visita ai numerosi campi informali intorno alla città di Bihac. Vengono chiamati dai migranti "jungle camp" e si tratta di accampamenti di fortuna in mezzo ai boschi, con la doppia finalità di ripararsi e di sfuggire ai controlli della polizia locale».
Quali attività ha svolto? «Abbiamo portato aiuti di prima necessità come cibo, vestiti, scarpe zaini, power bank e qualche cellulare, e abbiamo cercato di cercare un rapporto e un contatto, in modo da poter aiutare i migranti anche una volta arrivati in Italia. Tutte le sere, poi, ci recavamo in un prato fuori dal campo di Lipa, il
campo istituzionale, per incontrare i migranti e proporre loro qualche lezione di italiano. Partecipava un gruppo di circa 40 ragazzi, molto curiosi, contenti di imparare ma anche di sapere che non erano lasciati completamente soli».
Cosa le hanno raccontato i giovani migranti? «I racconti sono stati tutti sconvolgenti. Avevo letto molto, prima di partire, quindi mi aspettavo di trovare quella situazione, ma sentire ragazzi della tua età che ti narrano certi fatti è sicuramente diverso: il confronto tra la mia e la loro vita diventa quasi inevitabile. Le storie, purtroppo, sono tutte simili. I migranti sono in maggioranza Pakistani e Afghani e partono sulla rotta balcanica con il sogno di arrivare in Europa, molti sono giovanissimi: tra i 12 e i 14 anni. L'ultima parte del viaggio (che loro chiamano "game e che affrontano chi per la prima volta, chi anche per la trentesima) è la più difficile perché devono fare fronte a continue violenze e respingimenti illegali da parte di polizia Croata, Slovena e talvolta Italiana. Per "proteggere" il resto dell'Europa dall'arrivo dei migranti infatti, nei boschi lungo i confini ci sono poliziotti, droni, telecamere che cercano di fermarli e ricacciarli indietro, senza dare loro la possibilità di richiedere la protezione internazionale. Se va bene, sfuggono alla polizia croata, poi alla polizia slovena, poi a quella triestina, e si dirigono verso altre città italiane per chiedere protezione, cercare lavoro, inventare un futuro. Se va male, gli agenti (specialmente quelli croati) gli tolgono vestiti, cellulari, soldi, cibo e quanto hanno con loro per bruciare tutto sotto i loro occhi e rispedirli in Bosnia vestiti solo di un sacco, con una cattiveria che di umano ha
molto poco. C'è chi ha perso le gambe. Chi la vita. Chi qualche giorno dopo ha riprovato il game" senza perdere la speranza. Ed è questo che raccontano i loro occhi, i loro sorrisi e le loro storie. Una immensa e spiazzante speranza da un lato, e dall'altro un'Europa chiusa e fredda come una fortezza».
Ha fatto un incontro "speciale"? «Nella notte del 13 agosto è partito per il "game" Sada, 19 anni, viene dal Pakistan. Nonostante la sua giovane età negli ultimi quattro anni ha provato più di 30 volte ad arrivare
in Italia. Mi ha racconto della frustrazione di non riuscirci, della cattiveria della polizia, dei respingimenti illegali, della paura di ritentare, del sogno di un futuro. Sada e io ci siamo conosciuti fuori dal campo di Lipa: prima di partire per questo "gioco" al quale ha affidato il suo destino, aveva naturalmente paura della polizia, che controlla i boschi con cimici, droni e cani, ma era pronto a correre per scappare. Il piano era arrivare in Slovenia per poi pagare 3.500 euro un taxi abusivo che lo porti oltre il confine. Sono tanti soldi, probabilmente tutti quelli che aveva, ma il mercato non guarda negli occhi di chi soffre».
Sada ce l'ha fatta? «No. Il 21 agosto è tornato a Lipa. E` stato respinto illegalmente dalla polizia Croata senza la possibilità di chiedere la protezione internazionale. Si sta già preparando per un nuovo game. E` sconvolgente è la speranza di questi ragazzi. Sapendo a cosa vanno incontro, riprovano il game, anche a pochi giorni di distanza».
Pensa di affrontare esperienze simili in futuro? «Se ci sarà occasione senz'altro perché è stata ricca da molti punti di vista. A ogni modo continuerò anche quest'anno il servizio con i senza fissa dimora, durante il quale portiamo pasti alle persone che vivono in strada: anche questa a modo suo è un'esperienza simile e un modo per dare una mano nella vita di tutti i giorni».
Qual è la tua speranza, dopo questa esperienza? «E` quella che di fronte a queste ingiustizie si possano aprire corridoi umanitari che consentano, almeno alle famiglie e alle persone più fragili, di arrivare in Italia». 


[ Erica Bertinotti ]