Anziani, meno Rsa più co-housing

La pandemia ha messo in crisi il sistema, il punto critico l'isolamento dai parenti, allo studio nuove soluzioni

Non più Rsa, serviranno strutture al servizio della popolazione, a partire dalla prevenzione». Ernesto Palummeri, il geriatra richiamato dalla pensione da Alisa per gestire i focolai nelle case di riposo, spiega che il Covid ha imposto un cambiamento culturale. «La pandemia ha messo un riflettore su questo settore del sistema socio sanitario per troppi anni trascurato e dimenticato dalle istituzioni. Improvvisamente ci si è accorti che esistevano una serie di problemi. L'inizio pandemia è stato il periodo più difficile perché c'erano strutture non preparate e organizzate, gli operatori erano formati per facilitare la comunicazione tra le persone, la socializzazione, e si sono trovati ad agire in maniera opposta. Un bravo operatore non è quello che isola, ma facilita il dialogo. Quindi il virus ha costretto a rivedere queste pratiche e uno dei punti critici è stata la mancanza di contatto con i parenti perché le strutture hanno dovuto contingentare le visite, poi hanno creato le "stanze degli abbracci". Ora devono chiedere i Green Pass, bisogna indossare le mascherine e i guanti che non facilitano il contatto».
Una premessa che introduce i passi futuri. «Il ministero ha a creato tre gruppi di lavoro per rivedere la materia, sia dal punto strutturale che organizzativo. Scompariranno nell'arco di qualche anno le camere da quattro letti e saranno tutte a due, con il 20% di singole perché la promiscuità favoriva la diffusione del virus. Questo però porterà alla crisi delle strutture molto piccole che dovendo ridimensionare gli spazi faranno fatica ad adeguarsi».
La riforma delle Rsa punta anche a migliorare gli spazi e le attività del giorno. «Deve scomparire l'idea che le Rsa sono solo dei posti letto. Ci saranno grandi aree dove gli anziani potranno convivere in sicurezza, anche pensando a una pandemia, e sale da pranzo polifunzionali».
Una rivoluzione che coinvolgerà anche il personale? «La formazione e la specializzazione saranno le basi da cui partire. Soprattutto per i direttori sanitari e le loro responsabilità. Questo si scontra però con un momento storico in cui c'è una difficoltà a reperire personale qualificato per l'assistenza, soprattutto infermieri e medici». Sarà un problema che diventerà cruciale se non si troveranno persone.
«Serve una trasformazione che porterà verso le cure domiciliari per i soggetti a bassa complessità. Più appartamenti in cui gli anziani, magari legati da amicizia o un passato in comune, vivono insieme con supporti assistenziali. Il cohusing è una soluzione, vengono garantiti certi servizi, anche di tipo alberghiero, e l'anziano non viene "posteggiato" nelle case di riposo. 

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  • Sant'
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 ha fatto queste esperienze che andrebbero favorite e stimolate perché sono rispettose della vita degli anziani».
Serve quindi un ripensamento complessivo. «Le Rsa sono un servizio a disposizione della popolazione anziata e non solo un luogo di ricovero. Dovranno servire anche per servizi ambulatoriali per determinati periodi. Sarebbe importante la nuova figura dell'infermiere di famiglia o di comunità, che non va più a casa per medicazioni o fasciature, ma che prende in carico un gruppo di persone e le segue anche se non hanno un bisogno immediato, promuovendo stili di vita sani, attività fisica. In val Trebbia c'è questa figura con risultati eccellenti, ma fa fatica ad essere esportato. Ci sono i fondi regionali stanziati per questa forma di assistenza, ma non è stato fatto ancora nulla», conclude Palummeri.


[ Stefano Origone ]